Lazio

così si comanda, nella Capitale dello spaccio

In via Girolamo Mechelli, a San Basilio, il murale della Lupa giallorossa osserva in silenzio. È il cuore simbolico del quartiere, ma anche il punto di scambio di una realtà dura, dove le strette di mano non sempre significano amicizia.

Per anni, in questo angolo di Roma nord-est, droga e denaro hanno viaggiato veloci tra le dita di chi controlla il territorio. Il nome che torna più spesso, come un’eco tra i palazzi, è uno solo: i Marando.

Da oltre due decenni, la loro è una presenza ingombrante. Una famiglia che ha fatto del controllo capillare il suo marchio. Chi lavora nella rete – pusher, vedette, corrieri – sa che ogni passo è osservato. E chi sbaglia paga. A volte con la vita, altre con un esempio.

È successo a un giovane spacciatore che ha provato a muoversi fuori dai binari. È stato sequestrato, spogliato, torturato con ustioni e lasciato lì, come un messaggio per gli altri. “Torturarne uno per educarne cento”, il codice spietato di chi vuole controllo assoluto. Non è un film, è realtà quotidiana.

E mentre il quartiere si divide tra chi vede e tace e chi teme di parlare, le forze dell’ordine cercano di scardinare un sistema fatto di omertà, paura e rituali. Ma qui, nella Roma che non fa notizia, la legge più forte resta quella del clan.

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