Il delitto di Francesco Miano ucciso dai Mazzei per punire i cugini pentiti: 4 imputati
Cold Case
L’agguato, avvenuto a Catania nel 1998, era rimasto senza colpevoli. Ora i pm hanno letto i verbali di alcuni collaboratori
Francesco Miano fu ammazzato dentro il suo negozio di ottica di viale Mario Rapisardi. Era dietro il bancone, alcuni clienti stavano guardando alcune montature. All’improvviso è entrato un uomo: ha puntato la pistola e ha fatto fuoco. Tre volte, il commerciante non ha avuto scampo. Quella sera del 14 gennaio 1998 nessuno si seppe dare una spiegazione per quell’omicidio. Miano non era mai stato sfiorato da un’indagine, un problema. Il cognome, all’epoca, fece pensare immediatamente a Jimmy Miano ma gli investigatori smentirono qualsiasi legame con il boss dei Cursoti Milanesi. Molti si chiesero perché di quel delitto. Ma non ci fu nessuna risposta. A distanza di quasi trent’anni si è aperto un processo su quell’agguato. E oggi è possibile poter fornire un movente a quell’agguato.
Miano avrebbe pagato colpe non sue. Sarebbe stato ammazzato per dare una lezione a dei parenti lontani: ai cugini Francesco e Roberto Miano che nel 1984 diventarono collaboratori di giustizia. Santo Mazzei non avrebbe dimenticato quel tradimento: i due infatti operavano da alleati criminali a Torino.Il pm Santo Distefano ha chiesto il rinvio a giudizio nei confronti di Vincenzo Giardina, Agatino Licciardello conosciuto come Tino Paparazza, Marcello Montoro e Nicola Tucci (collaboratore di giustizia). I quattro imputati sono accusati di omicidio aggravato. Montoro, piccola curiosità, è quell’esponente dei Mazzei che ha ricevuto da parte del questore il foglio di via da Adrano a seguito della sua partecipazione a un videoclip neomelodico.
A dare l’ordine di ammazzare Miano sarebbe stato Massimiliano Vinciguerra, all’epoca reggente del clan Mazzei e uomo di fiducia di Santo ‘u carcagnusu. Poi anche Vinciguerra fu ammazzato per volere dei Santapaola. Montoro – secondo le ricostruzioni dei pm – sarebbe stato il killer che ha sparato tre colpi contro la vittima, Tucci avrebbe atteso in macchina per dare copertura al gruppo di fuoco. Licciardello avrebbe invece fornito l’arma del delitto a Montoro. Giardina era invece in sella a una vespa: aveva accompagnato Montoro all’ottico e poi lo aveva aiutato a scappare. L’udienza preliminare nel corso dei mesi ha subito parecchi rinvii poiché mancavano i verbali integrali di uno dei collaboratori di giustizia che ha parlato di quest’omicidio. E precisamente di Turi Musumeci. Nel processo erano stati depositati stralci della Cnr e le dichiarazioni sintetiche. I difensori hanno insistito per acquisire i verbali integrali. E finalmente si è riusciti: quindi il 3 ottobre il gup potrà decidere come proseguire.
Uno degli imputati, Vincenzo Giardina, è accusato anche di un altro omicidio: Sergio Signorino sarebbe stato ammazzato il 23 febbraio 1998. L’omicidio sarebbe rientrato «tra le attività poste in essere dai Mazzei contro quella parte degli appartenenti del clan Santapaola che – si legge nel capo d’imputazione – non voleva abbandonare l’associazione di appartenenza e affiliarsi al clan Mazzei». Nella malavita però si è sempre pensato che Signorino sarebbe stato ucciso in quanto legato al boss Maurizio Zuccaro (cognato di Enzo Santapaola, figlio di Turi). Massimiliano Vinciguerra avrebbe ordinato la sua condanna a morte. Giardina sarebbe stato l’autista che avrebbe accompagnato i componenti del gruppo di fuoco: Santo Di Benedetto, Salvatore Di Mauro, Salvatore Musumeci e Nicola Tucci. Per loro quattro c’è già stato un procedimento penale.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA