Processo “Rimpiazzo”, sentenza della Cassazione: definitive le pene per 8 imputati
Sentenza della Corte di Cassazione per otto imputati su nove nel processo “Rimpiazzo” contro gli esponenti del clan di Piscopio. Nuovo giudizio d’Appello per il solo Sasha Fortuna
VIBO VALENTIA – Si conclude con otto condanne passate in giudicato e un nuovo processo d’Appello per uno degli imputati il filone in ordinario del processo “Rimpiazzo” contro il clan di Piscopio, scaturito dall’operazione omonima del febbraio 2019: questa la sentenza della Cassazione arrivata oggi, 9 luglio, a tarda sera.
IL VERDETTO DELLA CASSAZIONE AL PROCESSO “RIMPIAZZO”
Diventano quindi definitive le pene a carico di Giovanni Battaglia, 41 anni, di Piscopio (9 anni di reclusione); Nazzareno Fiorillo, 59 anni, detto “U Tartaru”, indicato quale capo del “locale” di ‘ndrangheta di Piscopio (11 anni); Rosario Fiorillo, 35 anni, di Piscopio (19 anni, un mese e 10 giorni); Michele Fiorillo, 39 anni, detto Zarrillo, ritenuto tra le figure di vertice della consorteria criminale (12 anni); Nazzareno Felice, 64 anni, di Piscopio (8 anni e 4 mesi); Gaetano Rubino, 44 anni, di Ficarazzi, nel Palermitano (6 anni); Giovanni Giardina, 47 anni, di Palermo (6 anni); Raffaele Moscato, 39 anni, di Vibo Marina, collaboratore di giustizia (7 anni e 2 mesi). L’unico per il quale i giudici di legittimità hanno disposto un nuovo processo d’Appello a Catanzaro è stato Sasha Fortuna, 45 anni, di Vibo, residente nel Bolognese (17 anni e 4 mesi era stata l’entità del precedente giudizio d’Appello).
LA CASSAZIONE SIGILLA LE ACCUSE CONTESTATE AGLI IMPUTATI DI “RIMPIAZZO”
Le accuse contestate sono associazione mafiosa, usura, estorsione, danneggiamento, illeciti in materia di armi, intestazione fittizia di beni e spaccio di droga commesse da un gruppo che, sempre secondo le risultanze investigative, puntava a scalzare i Mancuso dal capoluogo vibonese e dalle frazioni marine sfruttando il fatto che molti esponenti, soprattutto di vertice, della consorteria di Limbadi fossero detenuti in carcere a seguito delle varie inchieste antimafia degli anni precedenti.
Lo scorso mese di marzo era andato a sentenza il troncone in abbreviato con 14 condanne definitive mentre per cinque imputati invece si era reso necessario un nuovo processo d’Appello.
LA SENTENZA D’APPELLO E I COLLEGAMENTI COI CLAN DELLA IONICA REGGINA
In attesa del deposito delle motivazioni della Cassazione, un sigillo importante lo aveva apposto la Corte d’Appello con il riconoscimento del vincolo associativo per quegli imputati chiamati a rispondervi. Nello specifico si faceva riferimento al carattere antagonista della Locale di Piscopio rispetto alle organizzazioni di ’ndrangheta tradizionalmente operanti e riconosciute nel comprensorio vibonese che ha “spinto i promotori a carcare appoggio e riconoscimento nella zona ionica nella famiglia Commisso ed in Giuseppe Pelle alias “Gambazza”. Una natura mafiosa – ha aggiunto la Corte – che si è poi in effetti manifestata nelle forme di costituzione, nelle forme di affiliazione dei sodali, nella sostanza del programma criminoso rappresentato da estorsioni, rapine, traffico di sostanze stupefacenti, attività frutto di specifica programmazione e determinazione dei capi nel perseguimento della affermazione criminale del locale di ‘ndrangheta riconosciuto, come si è detto, dalle organizzazioni criminali della fascia ionica calabrese”.
SOCIETà CIVILE ASSOGGETTATA AL CLAN DI PISCOPIO
Ritenuta emblematica la “condizione di assoggettamento ed omertà della società civile messa in atto dalla consorteria come effetto del potere di intimidazione del sodalizio, perseguito anch’esso attraverso l’eliminazione fisica degli avversari, l’esecuzione di atti di danneggiamento a cantieri ed agli operatori commerciali, l’uso della minaccia diretta e terrorizzante efficace a far apparire, in tal modo, le richieste estorsive come ineluttabili”.
Un sodalizio dedito al traffico di droga e nei confronti della quale era stata riconosciuta l’aggravante dell’associazione armata: “Armi che erano nella disponibilità dell’organizzazione e non dei singoli, i quali erano necessariamente a conoscenza di tale disponibilità, atteso l’uso generalizzato di esse in ogni settore di criminale attività (rapine, danneggiamenti, omicidi)”. Ma anche numerosi episodi di danneggiamento a colpi di arma da fuoco, le rapine ed i sequestri di armi accertati nel corso delle indagini, episodi ai quali aggiungere gli omicidi “di cui la cosca si è resa responsabile (Patania e Michele Palumbo)”.
Insomma, una consorteria che era riuscita ad infiltrarsi nell’economia legale “avvalendosi dei proventi delle proprie attività criminali” e a drogarla.
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