Separazione delle carriere e poteri del Pm
La riforma costituzionale sulla separazione delle carriere dei magistrati continua a far discutere, soprattutto là dove si teme, a torto o a ragione, che i suoi effetti possano pregiudicare le libertà dei cittadini.Ed è naturale che la discussione avvenga anche tra gli addetti ai lavori, in primis i giuristi (giudici, avvocati, studiosi).
Così come è naturale che possano esserci valutazioni diverse tra di essi. Si tratta di un fatto fisiologico e direi anche sano. Il libero confronto delle opinioni è fondamentale per la vita democratica. Aiuta i decisori (che, in questo caso, potrebbero anche essere i cittadini, nell’eventualità di un referendum approvativo della riforma costituzionale) a meglio soppesare le proprie valutazioni.
Con questo spirito «costruttivo» vorrei manifestare il mio disaccordo rispetto a quanto sostenuto su questo giornale (meritoriamente impegnato a concorrere a questo dibattito “a più voci”) dalla Professoressa Giovanna De Minico il 2 luglio scorso a pagina 14 .Non condivido, in particolare, la conclusione secondo cui la riforma metterebbe in pericolo le liberà dei cittadini consegnando a un Pm «separato» poteri destinati ad espandersi in modo virtualmente illimitato, con il rischio ulteriore di soggiogarlo a una polizia giudiziaria che nei fatti non sarebbe più diretta da esso (art. 109 Cost.), ma finirebbe per «catturarlo» in una spirale destinata ad alimentare «tirannia» e «titanismo istruttorio».
Questa conclusione esprime certamente una legittima e garantistica preoccupazione, ma non mi pare minimamente dimostrata. Innanzitutto, non mi pare dimostrata la premessa, che, cioè, l’unità delle carriere assicurerebbe, meglio della separazione, l’obiettivo, del tutto condivisibile, che «il giudice deve guardare le parti con assoluta indifferenza soggettiva, perché per lui Pm e imputato sono eguali». Sul punto l’onere della prova spetta a chi contesta la scelta della separazione.In secondo luogo se l’unità delle carriere fosse un così importante baluardo contro le temutissime degenerazioni conseguenti alla separazione, non si comprenderebbe come la Corte costituzionale, primo garante delle libertà, abbia potuto ripetutamente affermare che «La Costituzione (…) non contiene alcun principio che imponga o al contrario precluda la configurazione di una carriera unica o di carriere separate fra i magistrati addetti rispettivamente alle funzioni giudicanti e a quelle requirenti» (sent. 37/2000 e 58/2022). Se non è costituzionalmente dovuta, l’unità o separazione delle carriere rifluisce nell’ambito di discrezionalità politica del legislatore costituzionale, scelta – lo si ribadisce politica – sulla quale il giurista deve farsi da parte.Ma anche saltando questo passaggio a dir poco cruciale (come dicevo, se la preoccupazione è quella di salvaguardare la terzietà del giudice, l’onere di provare che l’unità delle carriere è la migliore strada dovrebbe spettare a chi la difende), anche gli altri argomenti non convincono.Non si comprende perché «di fatto» la riforma consentirebbe al Pm di «decidere sulle libertà personali, come se agisse in un vuoto pneumatico».
I poteri autonomi del Pm, riguardo alle libertà (personale, di comunicazione, ecc.), sono già oggi limitatissimi dal codice di procedura penale (è sempre richiesto l’intervento preventivo del Gip) e, dopo la riforma Cartabia, anche la perquisizione personale disposta dal Pm è, comunque, immediatamente sottoponibile al controllo successivo del giudice.Quanto, poi, alla «cattura» del Pm da parte della polizia giudiziaria, si tratta di un rischio che sussiste comunque (benché risulti difficile immaginare Pm così soggiogati e proni da accettare questa subordinazione di fatto). Ma anche ammesso che tale rischio ci sia, viene spontanea la domanda: perché l’unità delle carriere dovrebbe scongiurarlo più di un sistema nel quale la più netta distinzione tra Pm e giudice consente a quest’ultimo di guardare con maggiore distacco e imparzialità a quanto succede tra Pm e polizia giudiziaria?Ordinario di Diritto Costituzionale nell’Università di Roma Tor Vergata
Source link