Un pomeriggio a Venezia con i manifestanti del corteo No Bezos No War: «Venezia non è Disneyland»
«Venezia non è una location da affittare». È il messaggio a Jeff Bezos, alla città e al mondo lanciato nei giorni scorsi da Tommaso Cacciari, portavoce del Comitato No Grandi Navi e in prima fila con gli attivisti di «No space for Bezos», ha risuonato ancora più forte nel pomeriggio di sabato 28 giugno in occasione della manifestazione «No Bezos No War».
Partito dopo 17:00 dalla stazione Santa Lucia, l’atteso corteo ha riunito generazioni di studenti, cittadini veneziani ma anche stranieri che hanno scelto Venezia come la propria casa, e anche qualche politico (come Luana Zanella, deputata e capogruppo di Europa Verde), per mostrare non solo la già esternata contrarietà a quelle che vengono considerate da molti le nozze più invasive e scomode del decennio, ma anche per accedente le luci sulla situazione internazionale, sui bombardamenti che devastano Gaza e sulle ultime mosse sul fronte iraniano che Trump e potenti del mondo stanno rischiosamente giocando.
«Il matrimonio di Bezos così come è stato impostato è la dimostrazione della trasformazione in Disneyland di Venezia, in particolare del centro storico» mi spiega Giacomo Cervo, 24enne segretario della sezione veneziana di Sinistra italiana, tra i primi partecipanti che avvicino con lo scopo di farmi raccontare dai presenti le ragioni che li hanno portati a partecipare al corteo. «C’è una contestazione del modello Bezos, quello secondo il quale il lavoro è sfruttamento e contestiamo che la città venga data in affitto all’oligarca di turno».
Venezia è il caso di una morte in diretta per troppo turismo. Ogni anno vanno via da Venezia 1200 abitanti, più di tre al giorno, mentre i turisti come nuovi vandali si aggirando chiedendo «A che ora chiude la città?». Ecco un’istantanea lucida e drammatica della città che scompare
Viene descritto in gran parte così Mr.Amazon, a voce e sui tanti cartelloni che vengono agitati in aria insieme. Ce n’è uno che attira subito la mia attenzione, che riporta la scritta No techno feudalism da un lato e Kiss yes, Bezos no sull’altro (rivisitazione del classico fate l’amore non fate la guerra). Lo stringe Hans-Peter Martin, giornalista austriaco di 67 anni, che da cinque anni vive a Venezia e che ha scelto di partecipare «perché è una città speciale e il signor Bezos è a sua volta speciale, ma in un modo negativo per il modo in cui concepisce il lavoro, per i suoi dipendenti che – sostiene – lavorano per salari bassi e per la sua compagnia, Amazon, che sta causando grandi problemi per l’ambiente».
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