Cultura

Giovanni Truppi & Thru Collected – Thruppi

Generazioni prossime, ma non coincidenti, accomunate, però, dallo stesso humus poetico, storico, emotivo e folcloristico; generazioni che iniziano a dialogare, tra loro, sul sangue raggrumato degli eventi, dei fatti e delle delusioni passate, sulle lacrime che nessuno ha mai saputo o voluto asciugare, sulle troppe parole svanite nel vento — parole inutili, retoriche, sciocche, sterili — che, spesso, hanno, solamente, finito per alimentare ed amplificare quella massa informe, tossica e morbosa di luoghi comuni, di paradossi, di strafottenza e di secolare vittimismo su cui altre, troppe generazioni — più scaltre, più fameliche, più voraci — hanno “chianto” e “fottuto”.

Credit: Svblimia

Ma questo disco non è più il loro spazio, e forse, ci auguriamo, non è più, nemmeno, il loro tempo.

Perché, in quest’album, Giovanni Truppi e il collettivo artistico Thru Collected si fanno interpreti di una narrazione altra, di un’urgenza differente, dando vita a sette brani che spostano le epoche, che riscrivono le traiettorie e che tentano di incidere sulle ferite, sulle colpe, sulle crepe, sui rimorsi, sulle promesse mancate e sulle bellezze sublimi di queste latitudini geografiche ed umane. E lo fanno mescolando spoken word e rap, cantautorato e melodie it.pop, accenni di elettronica sporca e sintetica, momenti più ruvidi ed ostili, passaggi sonori che ondeggiano tra rabbia e dolcezza, poesia e dissonanza.

Sono sette canzoni contemporanee, figlie di questo tempo, ma libere da ogni scontata pedagogia; canzoni che non chiedono nulla, che non vogliono insegnare nulla, che non offrono facili modelli da seguire, ma che, semplicemente, cercano un’apertura, un pertugio, un passaggio attraverso questa città, questo paese, questo continente e questo mondo. Un mondo falso e vigliacco, un mondo ipocrita e posticcio, un mondo tanto feroce coi deboli e gli indifesi, quanto genuflesso davanti a chi mostra le pistole cariche, i droni minacciosi, le bombe ed i missili tirati a lucido, i potenti carrarmati o i soldati impettiti e ben armati. Una storia che si ripete, che ritorna, ciclicamente, come fosse una febbre antica, mentre le parole — sospese tra italiano e napoletano, tra carezza e bestemmia, tra invettiva e preghiera — rimbalzano contro i muri ostili di un potere più grande, più occulto, più crudele, più repressivo. Eppure, è proprio in contesti come Napoli — crocevia di culture, di religioni, di tradizioni, di narrative e di sottomissioni diverse — che tutto questo sembra ritrovare un senso, un significato, una verità più cruda, più viscerale, più umana.

Una verità capace di vedere gli uomini, le donne, i bambini e gli anziani in carne ed ossa, oltre quelle che sono solo le pedine su una scacchiera, oltre i numeri delle vittime silenziose di un conflitto ingiusto, oltre le linee sottili tracciate sulle carte geografiche, oltre i mari, le montagne, oltre la nostra stessa labile memoria e, soprattutto, oltre i mostri e gli incubi partoriti dagli uomini spietati ai quali, purtroppo, stiamo consentendo di scrivere il nostro futuro: Trump, Netanyahu, Putin, Erdo?an, Xi Jinping e tutti gli altri, ugualmente senza scrupoli, ugualmente senza coscienza.

E noi? Noi siamo i figli di questi piccoli quartieri, di queste piccole leggende metropolitane, di queste nostalgie e di questi sogni di abbandono e di rinuncia, di questi palazzi che ti soffocano e ti impediscono di vedere, davvero, il mare, di questi litorali sempre più stretti ed angusti. Ma è proprio qui che germoglia e fiorisce la forza espressiva, sentimentale, creativa, sonora ed umana di Giovanni Truppi, di Alice, di Specchiopaura, di Sano, di Leonardo, di Benn, di Valerio Fatalò e di Rainer: una forza meticcia, una forza partecipativa, una forza che non si chiude, non esclude, non conserva, ma sperimenta, trasforma, collabora, sogna.

Perché, come scriveva Matilde Serao, nelle sue “Leggende Napoletane”, “Napoli, la città della giovinezza, attendeva Parthenope e Cimone; ricca, ma solitaria, ricca, ma mortale, ricca, ma senza fremiti. Parthenope e Cimone hanno creata Napoli immortale“. Ed è in questa Napoli immortale, fragile ed indocile, che questo disco trova il suo respiro più naturale e profondo. In un contesto sociale, conflittuale, storico ed umano che non ha alcun bisogno di esser raccontato come fosse un mito o una leggenda, perché la vera leggenda risiede proprio nella sua miseria e nella sua grandezza, nella sua vitalità e nella sua condanna. È da qui, quindi, che parte questo album, ovvero dal fondo e dall’abisso, dalla speranza e dalla vergogna, dalla tenerezza e dalla collera. Da Napoli e oltre Napoli. Per raccontare, finalmente, ovunque, qualcosa che non somigli più a una favola da vendere solamente ai turisti, ai ricchi, ai forti o ai potenti.


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