La Prima Estate è un altro mondo (con gli Air arrivati dallo spazio)
Si sta sdraiati sui teli da spiaggia nel prato, tutto intorno un’aria da vacanza, quando sul palco arrivano gli Air dentro tute bianche, inquadrati da una cornice luminescente e illuminati da luci flou. Sembrano arrivare dallo spazio, da una dimensione lontana, da un mondo in cui si può ancora sognare, e la sensazione si fa ancora più intensa appena Nicolas Godin e Jean-Benoît Dunckel attaccano con i sintetizzatori, ed ecco quella certa atmosfera sospesa, rarefatta e un po’ malinconica come solo pochi sanno fare, dopotutto il French touch è cosa loro, non nostra, c’è poco da fare. Al Festival La Prima Estate a Lido di Camaiore, in Versilia, seconda serata del primo weekend, i telefoni sono rivolti verso la band ma non come ci si aspetterebbe in questi nostri tempi di brain rot da social: la gente ascolta davvero la musica, guarda davvero quel che succede sul palco. Non è scontato. La FOMO, la paura di perdersi le cose e quindi l’ansia di farsi vedere – tra le tante patologie sociali di oggi – non sembra essere il motore di questo piccolo festival boutique. A portare la gente al Parco Bussola Domani, ex luogo di storici concerti dagli anni Sessanta in poi e ora riqualificato – è solo genuino amore per la musica. Lo si vede dalle facce degli spettatori, che sono un po’ sempre le stesse. E lo si deve a un cartellone che tiene duro, eroicamente, con la giusta distanza dal mainstream (non solo pop) e un focus sulla musica di qualità, con coerenza.
Il primo weekend è stato un’oasi del rock alternativo o art rock, una riserva indiana con dentro nomi noti ma non da masse: tra gli altri, gli Spiritualized, i Mogwai, St. Vincent, gli Air appunto, Nic Cester e i Tv On The Radio. «È stato il più bel weekend della storia della Prima Estate, che è arrivata al quarto anno», dice convinto il direttore artistico del festival Enrico D’Alessandro. «È successo qualcosa di magico sul palco ogni sera. Merito di una proposta lineare, coerente: niente hip hop o house, per dire. Il livello delle performance è stato altissimo».
I concerti del primo weekend, dai Mogwai agli Air
Headliner della prima serata i Mogwai, band scozzese post-rock attiva dai primi anni ’90, con un set strumentale potentissimo, oscuro e denso di tensione, fedele al loro spirito noise. I Mogwai alternano momenti di sospensione eterea (Jim Morrison, Somewhere Nice, Fanzine) a esplosioni sonore epiche (We’re No Here, Ritchie Sacramento, Satan). La seconda serata, forse la più bella, è tutta di St. Vincent e degli Air. La prima, una delle voci più autorevoli e sperimentali del rock contemporaneo, con la chitarra sempre imbracciata e un talento teatrale incredibile, ci offre una selezione trasversale del suo repertorio: la sensualità funky di Pay Your Way in Pain, la furia glam di Sugarboy, le venature grunge di Broken Man, la hit Los Ageless, più momenti intimisti: un mix di introspezione e spettacolo, specialità della casa.
Gli Air portano la magia del loro sound con un live set elegantissimo e poetico, quasi interamente tratto da Moon Safari (1998), con inserti da Talkie Walkie, 10 000 Hz Legend e The Virgin Suicides. Si parte da La Femme d’Argent, canzone-manifesto che stabilisce subito il mood sognante, ci sono hit come Sexy Boy (con tanto di scimmia che vola nello schermo) e Cherry Blossom Girl, che si alternano a gemme strumentali come Alone in Kyoto e Highschool Lover – e quando parte quest’ultima, lo spirito di Sofia Coppola (la canzone è nella colonna sonora del suo film Il giardino delle vergini suicide) sembra riportare i quarantenni del pubblico agli anni della giovinezza. Lacrimucce, sì.
Durante la terza serata, Nic Cester manda a quel paese i Kings of Leon («Fuck Kings of Leon»: sì, dice così), che hanno dato forfait al festival per via dell’infortunio al piede del frontman Caleb Followill: forse Nic vuole fare il simpatico, forse è serio, non si capisce. In ogni caso, l’ex voce dei Jet fa il suo con un set soul-rock energico e raffinato, che chiude a sorpresa con Un’avventura di Lucio Battisti. E infine i TV On The Radio, ambasciatori del rock indie americano, con una scaletta potente e stratificata, che ripercorre il percorso della band newyorkese, tra art rock ed energia soul-punk, tra pezzi più recenti (Happy Idiot, Could You) e classici come Wolf e DLZ.
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