Gli Air: «L’IA può creare musica per alcune funzioni, tipo andare in palestra, ma non sostituirà mai le emozioni»
Jean-Benoît Dunckel e Nicolas Godin — in arte gli Air — sono seduti all’ombra, dietro il palco del festival La Prima Estate a Lido di Camaiore, in Versilia, a pochi metri dal mare. Tra poco saliranno sul palco per l’unica data italiana prima dell’inizio del tour mondiale Airplay Moon Safari, dedicato all’album che nel 1998 ha cambiato il corso dell’elettronica soft e sensoriale. Non è un anniversario «tondo», — sono passati 27 anni — ma è uno di quei dischi che invecchiano bene. Anzi: invecchiano poco. «È un disco che fa bene», dice Godin. «E questa è una cosa rara».
Moon Safari compie 27 anni ed è diventato un disco generazionale. Che rapporto avete oggi con l’album?
Godin: «È come un amico di infanzia che rivedi dopo tanto. Quando l’abbiamo registrato, da ragazzi, speravamo di fare un disco “classico”, ma non sai mai se ci riuscirai. Scoprire oggi che è successo davvero è un privilegio».
Dunckel: «È una specie di sollievo. Quando lo suoniamo, cerchiamo di restare fedeli all’originale. È come un’opera classica o un testo teatrale: lo rispetti. Non lo stravolgiamo, funziona ancora così com’è».
È il vostro preferito?
Dunckel: «È difficile scegliere. Ci sono brani che amo moltissimo, ma anche altri dischi hanno un loro umore che mi piace. 10 000 Hz Legend, per esempio, è molto diverso ma lo sento vicino».
Godin: «Moon Safari però è quello che la gente collega all’infanzia, alla leggerezza. È un album feel good, che fa sentire bene. È raro».
Quel senso di leggerezza viene anche dall’atmosfera in cui siete cresciuti? Versailles sembra quasi un luogo immaginario, più che reale.
Dunckel: «Sì, era un mondo irreale. Io vivevo proprio davanti al Domaine di Maria Antonietta. Era silenzioso, simmetrico, tutto geometrico e immobile. Sembrava uscito da Alice nel paese delle meraviglie».
Godin: «Ma da bambini Versailles non era affatto cool. Era grigia, vuota. Solo dopo, con il film di Sofia Coppola, è diventata “di moda”. All’epoca era un posto morto. Però pieno di musica. Tutti suonavano. C’erano tantissime band a scuola. Ancora non so perché».
Avete mai scritto qualcosa direttamente ispirato a Maria Antonietta?
Dunckel: «Non esplicitamente. Ma quell’universo si sente. La calma, la purezza, l’equilibrio… tutte cose che si ritrovano nella nostra musica».
A proposito di Sofia Coppola: che ricordi avete legati alla colonna sonora di Il giardino delle vergini suicide?
Godin: «È stato un momento d’oro. Tutto è successo in fretta. E credo che le colonne sonore dovrebbero essere fatte così, d’istinto. Se ci pensi troppo, perdi la magia».
Dunckel: «Abbiamo scoperto l’America. New York, Los Angeles… ci sembravano mondi incredibili. Il cinema era ovunque. Tutti super professionali, colti, aperti. Adesso ci colpisce meno, ma all’epoca era un sogno».
Che rapporto avete con l’Italia?
Godin: «Per i francesi è difficile viaggiare, soprattutto per via del cibo. Spesso si mangia male. Ma in Italia… è un sollievo. Si mangia e si beve bene. E poi si dice sempre che gli italiani sono francesi di buon umore. E noi siamo italiani… di cattivo umore».
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