Consumi, pesano incertezza e inflazione: per gli italiani acquisti più selettivi ed essenziali
L’inflazione non molla la presa. Gli stipendi non corrono. E l’ottimismo resta al palo. Gli italiani si guardano attorno, tirano le somme e, con un pragmatismo da manuale, riorganizzano le priorità. C’è chi taglia le uscite al ristorante, chi compra meno vestiti, chi posticipa l’acquisto del divano o rinuncia a quell’elettrodomestico “smart” che sembrava utile, ma non urgente. Eppure, in mezzo a tutto questo, c’è un’Italia che non si ferma: quella che continua a spendere per ciò che serve davvero.
Lo conferma lo studio “Gloomy Outlook: Italian Consumers Reallocating Their Spending”, parte della serie European Consumer Sentiment Report 2025 di Boston Consulting Group. Realizzato ad aprile, su un campione rappresentativo di 1.846 italiani (all’interno di una più ampia analisi su nove Paesi europei), il report restituisce un’Italia che cambia pelle, silenziosamente ma radicalmente. La notizia non è che si spenda meno, ma che si sta spendendo in modo diverso. Più essenziale, più selettivo, più funzionale e più coerente con un contesto che non rassicura.
Il 73% degli italiani ha visto aumentare i prezzi di beni e servizi negli ultimi sei mesi ma ciò che sorprende è la direzione in cui questo dato spinge i comportamenti. Cresce la spesa per le categorie considerate “di base” – casa, trasporti, salute, istruzione, cibo – con un saldo positivo del 15%. Crollano quelle discrezionali – moda, ristorazione, intrattenimento- con un -15%; e la stessa identica dinamica è prevista per i prossimi sei mesi. La forbice si allarga, ma senza isterie. È un’Italia che risponde con buon senso, non con allarmismo.
“Lo studio restituisce la fotografia di un cambiamento nei comportamenti d’acquisto degli italiani. Stiamo prendendo atto dell’incertezza socio-economica e facendo i conti con l’inflazione e le entrate stagnanti. E a questo rispondiamo di buon senso: allocando una quota più alta della spesa alle cose necessarie e sacrificando una parte del discrezionale e del ‘superfluo’ – spiega Antonio Faraldi, Managing Director e Partner di Bcg – Questo macro trend, con tutte le sue sfaccettature nei diversi segmenti della popolazione e attraverso le diverse categorie merceologiche, ha implicazioni forti sia per le aziende produttrici sia per la distribuzione. Con meno vento in poppa, cresce e vince solo chi sa navigare davvero bene, ossia chi ha una comprensione reale della domanda e dei bisogni che determinano le scelte dei consumatori, chi sa costruire un’offerta mirata a soddisfare questi bisogni in modo puntuale; e, quindi, senza restare totalmente in balia delle guerre di prezzo.”
Nel dettaglio delle categorie, lo scenario si fa interessante. L’unico comparto che mantiene una traiettoria di crescita netta è l’alimentare. Non solo in valore, ma anche in volumi. Si spende di più, si compra di più, si cucina di più. La casa torna al centro, anche in cucina. E il carrello diventa specchio di una ritrovata (o ritrovata per necessità) quotidianità domestica. Ma attenzione: l’aumento non è spinto dall’edonismo, bensì dalla razionalità: il consumatore sceglie con attenzione, confronta, cerca promozioni, guarda alla marca del distributore senza snobismi; non rinuncia alla qualità, ma pretende che il prezzo sia giustificato. All’opposto, alcolici e snack segnano una riduzione tra il -20% e il -30%, seguiti da moda, personal care, arredamento, elettrodomestici e lusso. Categorie spesso associate all’identità, al piacere o allo status, ma che in tempi incerti finiscono nel limbo del “non adesso”. In un contesto dove si riducono le disponibilità e cresce la cautela, sono proprio questi acquisti a essere messi in standby.
A trainare le decisioni d’acquisto è un criterio trasversale e fortemente radicato: il valore, o meglio, il “valore per il prezzo”. Un principio che non coincide con il prezzo più basso, ma con la giusta proporzione tra ciò che si spende e ciò che si ottiene. È questo il parametro più importante per oltre il 50% dei consumatori italiani in tutte le 12 categorie analizzate; più della marca, più dell’estetica, più della convenienza intesa in senso assoluto. Si osserva, quindi, un cambio di paradigma, soprattutto per chi ha costruito il posizionamento sulla leva prezzo o sullo storytelling valoriale. Non stupisce, allora, che le promozioni restino una calamita per la scelta: l’81% degli italiani si dice influenzato da sconti e offerte nell’acquisto di abbigliamento, il 74% nei prodotti per la casa, il 70% nelle bevande analcoliche, e il 62% persino negli alcolici. Una promozione ben orchestrata può fare la differenza ma attenzione a non banalizzare: il discounting fine a sé stesso, senza narrazione né selettività, rischia di diventare una corsa al ribasso che erode margini e fiducia.
In tutto questo, le marche del distributore giocano un ruolo chiave. La loro penetrazione, seppur rilevante (tra il 51% e il 71% a seconda della categoria), resta inferiore alla media europea, ma il potenziale c’è; soprattutto se sapranno emanciparsi dalla logica del “cheap” e affermarsi come scelte di valore. Lavorare sul percepito, sulla qualità e sulla coerenza diventa, quindi, un terreno di competizione strategico per la gdo.
E il digitale? Resta una promessa non mantenuta. L’Italia è ancora sotto la media europea per utilizzo dell’online come canale d’acquisto e come fonte di ispirazione. Solo l’11% degli italiani compra alimentari online come canale principale, e solo il 3% per i prodotti freschi. Anche nelle categorie più e-commerce friendly, come la moda o l’elettronica, i numeri restano bassi rispetto a paesi come UK, Germania o Spagna. Una questione generazionale, certo, ma anche culturale. Il contatto diretto, il consiglio in negozio, l’esperienza d’acquisto continuano ad avere un peso. Per chi lavora nel retail fisico, una buona notizia, ma anche una responsabilità: rendere quella presenza davvero differenziante.
Discorso opposto per la sostenibilità. Qui l’Italia è avanti. Oltre il 50% degli italiani dichiara di considerare criteri ambientali nella scelta d’acquisto e uno su cinque è disposto a pagare di più per un prodotto “green”, ma attenzione: la disponibilità economica è ancora un freno. Per questo, più che premiumness, oggi la sostenibilità deve diventare normalità. Aspettativa, non extra. E le aziende che sapranno renderla accessibile, economicamente e narrativamente, ne usciranno vincenti. In sintesi: meno impulso, più consapevolezza. Meno status, più sostanza. Meno quantità, più qualità percepita. Gli italiani del 2025 stanno ridisegnando i propri consumi con lentezza ma con lucidità. Un segnale forte per chi produce e distribuisce: serve meno presunzione, più ascolto. E serve coraggio: quello di cambiare, davvero, la propria proposta di valore.
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