Gli effetti collaterali del turismo in Puglia nel libro The Passenger
Negli ultimi tempi, ci siamo abituati a veder rimbalzare la Puglia sulle copertine delle testate più prestigiose e su rinomati schermi internazionali: la BBC l’ha nominata meta imperdibile del 2025; la Foundation for Environmental Education (FEE) ha riconosciuto ben 27 località da Bandiera Blu nel tacco d’Italia, ponendo la regione sul secondo scalino del podio nazionale; l’arte figulina è arrivata sulla CCTV della Cina; tantissimi divi scelgono la nostra regione per il proprio “retreat” o per una vacanza, come Helen Mirren, Stanley Tucci ed Harry Styles.
Sembra che la Puglia abbia conquistato l’apice della fama nella propria carriera economico-turistico-politica, dopo anni vissuti in un cono d’ombra. Come non essere stregati dal fascino pugliese? I trulli, i muretti a secco, gli ulivi secolari, le spiagge cristalline, il cibo genuino, la pasta fatta a mano, le strade lastricate di chianche. È tutto oro quel che luccica? Risponde “The Passenger”, nel nuovo numero dedicato alla Puglia, disponibile dal 5 giugno e presentato il 14 giugno a Bisceglie nelle Vecchie Segherie Mastrototaro. La rivista-libro edita da Iperborea attraversa i luoghi del mondo costruendo un reportage anti-turistico, capace di svelare il lato oscuro degli stessi. A fare i conti con la realtà è la Puglia raccontata alcune delle più autorevoli firme, pugliesi e non: Nicola Lagioia, Mario Desiati, Andrea Piva, Claudia Attimonelli, Sarah Gainsforth, Daniele Rielli, Stefano Nazzi, Leonardo Palmisano, Valentina Petrini, Oscar Iarussi, e le pagine sono corredate dalla fotografia di Jean Marc Caimi e Valentina Piccinni. Tutti dipingono un ritratto caravaggesco della regione, di luci ed ombre.
Dagli anni Novanta l’interesse per la Puglia è triplicato (complice una politica avveduta, spiega Lagioia, che parte dall’era vendoliana sino ad oggi): l’outsider dello Stivale, la regione contadina, misera e arretrata di cui vergognarsi è (finalmente?) diventata “popular”, tanto da ospitare il G7 nella lussuosissima masseria-resort Borgo Egnazia, a Savelletri. Tutti richiedono la regione come attrice protagonista dell’odierno spettacolo.
Eppure, sebbene prosperi opulenta una Puglia dall’aspetto “sàng e latt” e il trionfo planetario consacri la regione, aleggia il rischio di un “paradossale ribaltamento dei valori”: la massima esposizione mediatica depaupera i simboli di quella identità trasformando la regione in carne e ossa nel plastico di se stessa. È il caso della banalizzazione della Taranta: l’Italia sta a “pizza e mandolino” come il Salento sta alla danza in stato di trance. Da luogo a brand. Da realtà a marchetta.
Proprio quell’occhio di bue che illumina il tacco dello Stivale sul palcoscenico mondiale rende evidenti le rughe coperte dal trucco. Dietro quegli ulivi secolari, vigorosi, fermi nel loro aspetto si cela la malattia, “la Xylella fastidiosa – afferma Rielli – che ha devastato le coltivazioni di ulivi in Salento portando alla morte di oltre 20 milioni di alberi, distruggendo il paesaggio e generando danni nell’ordine di miliardi di euro. Ma il vero responsabile della catastrofe è l’uomo”.
A pochi passi da quelle spiagge cristalline dello Ionio, c’è “il polo siderurgico ex Ilva, che ha lasciato in eredità a Taranto inquinamento tossico e devastazione ambientale”, avverte Petrini. Sotto il caldo sole, “durante la torrida stagione della raccolta sui campi pugliesi”, rivela Palmisano, “spuntao e si popolano le baraccopoli che ospitano i braccianti. Vengono chiamate ‘ghetti’: i loro abitanti sono stranieri, spesso senza permesso di soggiorno, imprigionati in un limbo legale e alla mercé dei caporali”. I muretti a secco che delimitano le campagne? “La stessa terra subisce oggi il taglio e lo sfregio del cemento armato e non molto tempo fa del “ternitti”, come chiamano l’amianto nel Salento”, scrive Desiati.
“Sii felice sei in Puglia”, terra accogliente e ospitale ma “il turismo ha i suoi risvolti negativi – continua Sarah Gainsforth – come la crescita del costo degli affitti nelle città più grandi, la privatizzazione della costa e la riduzione delle risorse per gli abitanti a favore dei ricchi visitatori, per esempio le interruzioni di corrente elettrica causate dal sovraccarico della rete e lo sfruttamento dell’acqua per i campi da golf su terreni che rischiano la desertificazione”.
Il racconto romantico di una regione storica e nostalgica nasconde l’ammiccamento a un timore condiviso orizzontalmente dagli autori della rivista: dall’essere una regione meno “popolare” ma più autentica, i recenti interventi chirurgici di riqualificazione del territorio rischiano di eccedere e trasformare la Puglia in un fenomeno da baraccone, nella ridicolizzazione di sé stessa.
Nelle puntuali parole di Nicola Lagioia: “Ottenuto un posto al sole, diventa importante capire come gestire tutta questa luce. Cosa fare della Puglia? Cosa fare di noi stessi? Vogliamo provare a diventare il laboratorio culturale, politico ed economico cui forse potremmo ambire, e che in questi anni è mancato nella zona del Mediterraneo? O vogliamo scivolare al contrario? Abbiamo evitato il folklore più becero per finire tra le braccia della più vuota olografia? Rischiamo di precipitare nel Puglia-shire, di diventare l’Eldorado pensionistico in cui legioni di facoltosi cittadini americani e cinesi (e russi, e sauditi) vorranno trascorrere nei prossimi anni la vecchiaia? Per un luogo così ricco di storie, così presente e vivo, si può puntare a un futuro più interessante”.