Duran Duran a Milano: fan in delirio, torte sul palco e cori da brividi
Quando hai una certa età e vai a un concerto, di solito non vai a vedere una band nuova, ma un artista o una band che ti piaceva quando eri alle superiori. E sempre di solito il pubblico con cui ti trovi a condividere la platea o il prato è un pubblico over 50 e al novanta per cento maschile. Ma non ieri sera. Ieri sera, al concerto dei Duran Duran all’Ippodromo Snai San Siro di Milano durante gli I-Days, le donne c’erano. Eccome se c’erano.
Le più determinate sono entrate alle 17 e si sono schiacciate contro le transenne sotto il palco, rischiando insolazioni, disidratazioni e scottature. Alle 19, mentre suonano Les Votives, opening act tanto giovane quando grintoso, il terreno erboso dell’ippodromo è ormai pieno all’inverosimile. Come previsto, l’età media non è lontana dai 55, con qualche rara eccezione (di solito ragazze venticinquenni che hanno accompagnato al concerto la madre avviata alla terza età), ma quello che colpisce l’occhio è l’assoluta predominanza di donne.
Con buona pace di tutti gli sforzi che le società più avanzate stanno facendo per negare la divisione del mondo in rosa e azzurro, succede semplicemente che certi fenomeni piacciano di più agli uomini e certi altri fenomeni piacciano di più alle donne. E i Duran Duran sono sempre stati un fenomeno che piace più alle donne, poco da fare. Poco più che ventenni, agli esordi, erano gli idoli in terra delle ragazzine preadolescenti di tutto il Regno Unito. Un lustro dopo, alla soglia dei trenta, lo erano delle ragazzine preadolescenti di tutto il mondo. Situazione poco invidiabile, si lamentavano loro nelle interviste.
Ma torniamo a Milano e al 20 giugno 2025. I Duran Duran sono una delle poche band nate negli anni ‘80 a non essersi mai sciolte e hanno ormai assunto uno status quasi mitologico, sono a tutti gli effetti i Rolling Stones degli Eighties. Salgono sul palco che è ancora chiaro nella consueta formazione a cinque: Simon Le Bon alla voce, John Taylor al basso, Nick Rhodes alle tastiere, Roger Taylor alla batteria e il turnista Dom Brown alla chitarra. Il chitarrista originale, Andy Taylor, è da tempo malato di cancro ed è comunque fuori dalla band da quasi vent’anni. Il boato all’ingresso della band è da grandi occasioni, ma il concerto parte un po’ in sordina con la oscura Night Boat, un vecchissimo pezzo degli esordi, lento e misterioso. Insomma, non si balla. Ma basta che sugli schermi giganti piazzati ai lati del palco e sulla torretta centrale venga inquadrato John Taylor per far partire un assordante unisono di urla femminili che stravolge all’improvviso l’atmosfera ipnotica della canzone. Perché, lo sanno tutti i veri esperti, Simon Le Bon è il frontman della band, il suo componente più famoso, ma il vero oggetto del desiderio femminile (e non) è sempre stato il magrissimo e tormentato bassista. L’urlo femminile si ripete non appena risuonano le prime battute di batteria di The Wild Boys. Il vero concerto comincia qui, Simon arranca un po’ sugli acuti ma si fa aiutare dal pubblico sul ritornello. La scena è questa: migliaia di signore sui sessanta, sfibrate dal caldo umido e dalla giornata lavorativa appena portata a termine, si agitano, ballano a occhi chiusi e recitano a memoria il testo della canzone. Con **Hungry Like The Wolf **i poliziotti in servizio sparsi tra il pubblico cominciano a preoccuparsi.
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