Marche

7 anni a Gresti. «È il mostro che ha ucciso mia figlia»


JESI Un’udienza-fiume dove ognuno ha giocato le proprie carte. Prima l’interrogatorio dove il 46enne Simone Gresti ha dato la propria versione dei fatti, cercando di smontare le pesantissime accuse mosse dalla procura. Poi la requisitoria del pm Irene Bilotta: sette anni di reclusione per spaccio di droga, maltrattamenti e istigazione al suicidio. Reati, questi ultimi due, che vedono come vittima l’ex compagna Andreea Rabciuc, la 26enne romena trovata morta il 20 gennaio del 2024 in un casolare di Montecarotto, a 22 mesi dalla scomparsa.

Il processo

Ieri mattina, davanti al gup Alberto Pallucchini ha preso il via il processo nei confronti del 46enne, originario di Jesi ma residente a Castelplanio. Ha deciso di procedere con il rito abbreviato condizionato dal suo interrogatorio con cui ha ripercorso le tappe della tormentata relazione con Andreea fino al party nella roulotte sulle Montecarottese, l’ultimo litigio e la scomparsa della ragazza. Era il 12 marzo del 2022. Non c’è stata sentenza, il processo è stato aggiornato al 18 novembre, quando prenderanno la parola l’avvocato Rino Bartera, che assiste la madre di Andreea, Georgeta Cruceanu, e i difensori Gianni Marasca ed Emanuele Giuliani. C’è stato il faccio a faccia tra Gresti (libero da misure cautelari) e Georgeta. «È il mostro che ha ucciso mia figlia» ha detto la donna entrando in aula.

Il pm contesta a Gresti una decina gli episodi di cessione di cocaina tra il 2022 e il 2024, in Vallesina. Le vendite illecite erano emerse nel corso dell’indagine scattata dopo la scomparsa di Andreea. Per l a procura il 46enne avrebbe approfittato dalla fragilità psicologica della fidanzata, manipolandola, rendendola succube e spingendola fino al suicidio. Uno stato di inferiorità dettato anche dal consumo di stupefacenti. Per il 46enne non ci sarebbe mai stato alcun abuso, come ribadito anche ieri. Il culmine, stando alla pubblica accusa, è stato notte la notte del 12 marzo 2022, al party nella roulotte sulle Montecarottese. La ricostruzione della procura: lui le avrebbe negato la cocaina, sottraendole il cellulare («me lo ha dato lei») e chiudendola per almeno mezz’ora all’interno della roulotte. Alla fine, era riuscita a scappare, raggiungendo il casolare. Qui, il suicidio per impiccagione. Prima del gesto estremo, la frase su una trave di legno: «A Simone vorrò sempre bene. Se mi lasciava il cellulare avrei chiamato mamma».




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