Brian Eno & Beatie Wolfe – Luminal / Lateral
Carneade, chi è costei ?
Da una parte c’è uno degli artisti più influenti degli ultimi 50 anni, ovvero Brian Eno, dall’altra Beatie Wolfe, artista concettuale e compositrice anglo-americana. Sembra che non avessero in programma di fare della musica assieme e si siano avvicinati grazie al reciproco interesse per i rispettivi progetti di arte visiva.
Incontrandosi di persona alla Somerset House durante una mostra delle opere di Beatie, si sono precipitati in studio, ansiosi di vedere cosa sarebbe successo.
“Questa è la formazione più spartana della storia“, dice Eno. “andiamo in studio e creiamo qualcosa con quello che abbiamo. Siamo solo noi due con una chitarra elettrica. Oh, e ne abbiamo aggiunta un’altra proprio alla fine!“

Il tema della loro collaborazione sembra risiedere proprio lì, nell’idea del gioco senza obblighi. Solo lunghe sessioni di composizioni e jam libere, nessuna necessità di farlo con l’obbligo di pubblicare dischi.
“Stavano succedendo molte cose, davvero contemporaneamente. E direi anche più di due flussi. Ce n’erano forse sei o qualcosa del genere, e poiché il linguaggio per parlare di musica è così limitato, finisce per essere più un insieme di non-canzoni“, spiega Beatie. “Non credo fossimo consapevoli di una traiettoria o di una strada particolare. Stavamo solo creando questo materiale che cresceva
a dismisura ogni volta che ci riunivamo“.
I titoli dei due albums “Lateral” e “Luminal” sono una sorta di enigma, guardando le copertine: sono in entrambi i casi due dischi luminosi integrati in un quadrato (la quadratura del cerchio?). Rappresentano due poli diversi, “Uno sono le canzoni, e l’altro le non-canzoni“, sottolinea Beatie.
Al primo ascolto, “Lateral” (voto 6,5) è un ritorno alle origini: quelle di “Thursday Afternoon” e degli altri lunghi brani ambient che accompagnano le installazioni di Brian Eno.
I riferimenti a “Big Empty Country” ricordano il Sud Ovest americano e luoghi come l’Arizona, lo Utah e il Colorado.
“È musica country“, dice Beatie. “Country nel senso di paesaggio, un paesaggio che puoi identificare con una persona o una voce… oppure con nulla!”
Otto tracce, ciascuna della durata di circa otto minuti, una lunga suite continua (o scomponibile), senza alcuna pausa. Ascoltato in modalità shuffle, l’album si presta a ore di variazioni.
Spiega Eno, “Un elemento che è sempre stato importante per me è il vuoto, il lasciare deliberatamente qualcosa in modo che ci sia spazio per immaginare di muoversi al suo interno, non per riempirlo. E gran parte delle registrazioni si basa sul riempire le cose“, ricalca Brian.
Questa è una musica lenta e immersiva, con suoni filtrati, come un lungo nastro luminoso e scintillante, prestandosi a un’esperienza d’ascolto avvolgente. Strati armonici dai mille riflessi, punteggiati da note sospese…
Brian Eno, rimanendo fedele alla sua identità e alla sua visione artistica, si pone ancora una volta al di fuori delle mode, con un’opera ambient che unisce semplicità e raffinatezza, ma che non aggiunge nulla di nuovo al suo percorso.
E ora andiamo all’universo “Luminal” (voto 7), che sembra più collaborativo rispetto all’album strettamente ambient di matrice Eniana e che risente delle atmosfere dei suoi ultimi lavori cantati. Le canzoni tutte cantate da Beatie Wolfe, dove si trovano anche elementi dell’amore di Eno per la musica Doo-Wop rallentata e riferimenti sonori da Twin Peaks.
Si apre con “Milky Sleep”, Mentre la successiva “Hopelessly At Ease” vede Eno tornare agli anni del periodo del disco “Apollo”, qui è molto riuscito l’amalgama tra i due, così anche nei singoli “Play On” (di cui è stato realizzato anche un video) e la ballata “Suddenly”, suadente e sognante. “Breath” evoca i mondi della collaborazione di Eno con Cluster. Rasenta alcuni passaggi più oscuri con una verità svelata, davanti ai nostri occhi.
Poi, in “My Lovely Days”, Wolfe ed Eno trasformano il brano in una struttura blues acustico che solca il cielo nelle ore più calde dell’estate prima di immergersi nell’atmosfera oceanica, con tessiture di chitarra molto semplici, ma ben congeniate. Il brano conclusivo “What We Are” torna alle radici country, con Eno e Wolfe che tornano a casa alla fine del loro percorso sonoro, vedendo il sole sorgere all’orizzonte per un nuovo giorno che sta per iniziare.
«Ci sono delle volte che stiamo in studio per ore, a suonare assieme senza nessun obiettivo. E non penso sia tempo perso se alla fine non esce nulla», ribadisce Eno. «Noi partiamo dall’idea opposta. Suoniamo i nostri strumenti e vediamo cosa esce fuori, senza regole o restrizioni. Star seduti a vedere qualcosa di nuovo che cresce è un’esperienza piacevole. Infatti stiamo continuando a far musica anche se stiamo pubblicando questi due album».
Conferma Wolfe: «Era come se stessimo creando delle sensazioni, delle emozioni che volevamo provare“.
Di Eno, dal suo ultimo libro “What Art Does” riporto una bella frase emblematica: “i bambini imparano giocando, e gli adulti giocano attraverso l’arte. Penso che l’arte sia il luogo dove possiamo continuare a essere bambini. Il disordine è molto più comunicativo. Il casino ti dice: sono vivo. Qualcosa di troppo pulito dice: sono morto».
Aggiunge Wolfe durante la presentazione alla stampa: «Tutto ciò che è autoriferito non è divertente. La cosa bella di suonare è potersi dimenticare di se stessi e non starsi a guardare. Bisogna abbandonarsi al flusso senza paura di sembrare stupidi o rendersi ridicoli. Questa è la parte divertente, è come quando si gioca di fantasia da bambini.
È facile dimenticarsi di giocare».
Da ascoltare al tramonto.
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