dopo 80 anni la Germania condannata a risarcire
SENIGALLIA Prima di partire per la guerra il soldato Silvio Servizi promise alla fidanzata Bice Bartolini che al ritorno l’avrebbe sposata. Dal fronte le scriveva spesso delle lettere ma dall’8 settembre 1943, non ne aveva più ricevute. Le settimane di silenzio diventavano mesi poi anni. Si era, così, convinta che fosse morto.
Il ritorno
Fino al 1945, quando si ripresentò, Bice ha vissuto un lutto. Un dolore immenso durato due anni. Silvio non aveva potuto proseguire la corrispondenza perché era stato catturato nel giorno dell’armistizio dai soldati tedeschi. L’avevano portato in un campo di lavori forzati. Destino toccato a 716mila italiani dopo quella data. Silvio Servizi, nato nel 1914 a Castel Colonna, è morto a Senigallia nel 1988. La moglie Bice Bartolini, che nel frattempo aveva sposato, invece è deceduta a 101 anni lo scorso anno.
Il desiderio di Bice
Nel 2023 la centenaria ha espresso un desiderio. Veder riconosciute da un tribunale le sofferenze che i nazisti avevano riservato al marito oltre al suo di dolore. La sentenza del Tribunale civile di Roma è arrivata nei giorni scorsi. Lei non ha potuto assistere alla giustizia fatta ma la famiglia ha portato avanti la battaglia, ottenendo un risarcimento di 55mila euro dopo oltre 80 anni. «Un risultato storico direi, una sentenza che farà da apripista – spiega l’avvocato Roberto Paradisi, che ha assistito la famiglia -. Silvio Servizi l’8 settembre 1943 venne arrestato in Dalmazia e deportato in Germania, in che località di preciso non l’ha mai saputo nemmeno lui. Era in un campo di lavori forzati, un lager sostanzialmente. Ai deportati italiani dopo l’8 settembre 1943 non venne riconosciuto lo status di prigionieri di guerra. Era quindi un prigioniero militare».
La causa
La causa è stata avviata contro la Germania nella persona dell’ambasciatore tedesco in Italia. È stata prodotta tutta la documentazione della prigionia quando Silvio si cibava di riso, pane nero, gallette, carote e rapa. Era dimagrito di 20 chili e aveva visto molti soldati morire. Lavorava nei campi fino a 100 ore a settimana. Soddisfatta la nipote Silvia Rotatori, professoressa del liceo Perticari, che insieme alla madre ha portato avanti la causa. «Avevo 10 anni quando mio nonno è morto – ricorda – era un uomo con la schiena dritta, molto affettuoso con me. Ricordo le lettere che mia mamma Ivana, sua figlia, mi ha mostrato. Le scriveva prima della prigionia a nonna, di cui era innamoratissimo. Era molto grato alla vita, nonostante tutto, si sentiva fortunato».