guida completa ai cinque quesiti su lavoro e cittadinanza
Il referendum è uno strumento fondamentale di democrazia diretta attraverso cui è possibile esprimere la propria opinione su questioni legislative che riguardano tutti. Nello specifico, nei referendum abrogativi, come quello dell’8 e 9 giugno prossimi, i cittadini italiani con diritto di voto sono chiamati a decidere sull’eliminazione totale o parziale di determinate leggi.
Come funziona?
Il meccanismo di voto prevede un quesito referendario a cui rispondere “Sì” se si è favorevoli all’abrogazione, o “No” se si è contrari. Per essere valido, il referendum deve raggiungere il quorum, ovvero deve partecipare al voto almeno il 50 per cento più uno degli aventi diritto. Se viene raggiunto il quorum e prevale il “Sì”, la legge viene modificata; se vince il “No” (o non si raggiunge il quorum), la normativa resta invariata. È importante precisare che, anche in presenza di una forte campagna astensionista, l’esito non è scontato, come molti credono. Ad esempio, se su 100 votanti il 45 per cento vota “Sì”, il 6 per cento vota “No” e il 49 per cento si astiene, prevarrà comunque il “Sì” poiché rappresenta la maggioranza dei voti effettivamente espressi.
Come votare se si vive all’estero
Per quanto riguarda il voto dall’estero, i cittadini italiani temporaneamente residenti fuori dall’Italia per motivi di lavoro, studio o cure mediche possono votare per corrispondenza, come previsto dall’articolo 4-bis della legge 459/2001. L’opzione va esercitata entro il 7 maggio, presentando una dichiarazione corredata da documento d’identità valido e indirizzo estero per la ricezione del plico elettorale oltre a una dichiarazione attestante il possesso dei requisiti relativi alla presenza temporanea all’estero. Questo diritto si estende anche ai familiari conviventi. Il modello per esprimere l’opzione è disponibile online.
I 5 quesiti referendari: quelli sul lavoro
Dei cinque referendum abrogativi, quattro sono inerenti al lavoro e uno riguarda la cittadinanza. Il primo quesito sui “Licenziamenti illegittimi”, utilizza la scheda verde chiaro. Questo fa riferimento al Jobs Act e alla disciplina dei licenziamenti nel contratto a tutele crescenti. Attualmente, se un lavoratore assunto dopo il 2015 viene licenziato senza giusta causa, può ottenere solo un risarcimento economico, senza possibilità di tornare al suo posto di lavoro. Votando “Sì”, si vuole cambiare questa situazione, permettendo al lavoratore di chiedere, oltre al risarcimento, anche il reintegro in azienda. Con il “No”, la situazione rimarrebbe invariata.
Il secondo quesito, alle “Tutele nelle piccole imprese”, utilizza invece la scheda arancione. La questione riguarda i licenziamenti nelle aziende con meno di 15 dipendenti: oggi, in caso di licenziamento ingiustificato, il lavoratore può ricevere un risarcimento massimo di 6 mensilità. Con il “Sì”, si vuole eliminare questo tetto massimo, lasciando ai giudici la libertà di stabilire l’entità del risarcimento caso per caso. Votando “No”, il limite delle 6 mensilità resterebbe in vigore.
Il terzo referendum, identificato dalla scheda grigia, affronta il tema dei “Contratti a termine”. La normativa attuale permette ai datori di lavoro di stipulare contratti a tempo determinato fino a 12 mesi senza dover specificare il motivo. Votando “Sì”, si renderebbe obbligatorio indicare sempre la motivazione del contratto a termine, anche per periodi brevi. Il “No” manterrebbe la situazione attuale.
La “Sicurezza sul lavoro” è il tema del quarto quesito, che utilizza la scheda rosso rubino. Un argomento particolarmente sensibile, considerando che nel 2024 sono stati 589.571 gli infortuni denunciati, di cui 1.090 mortali. Oggi, quando un’azienda (committente) affida un lavoro in appalto a un’altra ditta, non è responsabile degli eventuali infortuni sul lavoro. Votando “Sì”, anche l’azienda committente diventerebbe responsabile in caso di incidenti. Il “No” lascerebbe invariata la situazione attuale.
Il quesito referendario sulla cittadinanza italiana
Infine, il quinto e forse più dibattuto referendum, quello sulla “Cittadinanza italiana”, contrassegnato dalla scheda gialla. Attualmente, un cittadino non-Ue maggiorenne che vive, studia e lavora regolarmente in Italia deve attendere 10 anni di residenza legale continuativa prima di poter richiedere la cittadinanza. Con il “Sì”, questo periodo verrebbe dimezzato a 5 anni. Ma è importante sottolineare che, come riporta il ministero dell’Interno, oltre alla residenza legale, continuativa e ininterrotta, per il cittadino non-Ue sono previsti anche altri requisiti fondamentali per ottenere la cittadinanza.
Tra questi requisiti, c’è innanzitutto la capacità reddituale, che varia in base alla situazione familiare: si parte da un minimo di 8.263,61 euro per i single, arrivando a 11.362,05 euro per i coniugati, con incrementi progressivi in base al numero di figli (516 euro in più per ogni figlio a carico). Per esempio, una persona sposata con tre figli deve dimostrare un reddito di almeno 12.910,20 euro.
È inoltre necessario dimostrare di conoscere la lingua italiana, o attraverso un titolo di studio rilasciato da un istituto italiano (o estero riconosciuto) a partire dalla scuola media, oppure con una certificazione linguistica di livello B1 rilasciata da enti certificatori riconosciuti come l’Università Roma Tre, l’Università per stranieri di Perugia, l’Università per stranieri di Siena, la Società Dante Alighieri o l’Università per stranieri di Reggio Calabria.
Infine, il cittadino non-Ue potrà richiedere la cittadinanza italiana solo in assenza di condanne o di pericolosità sociale. Il ministero dell’Interno esamina attentamente ogni richiesta e può respingere le domande di chi ha precedenti penali, condanne definitive per determinati reati, o rappresenta un potenziale rischio per la sicurezza della Repubblica. Questa valutazione si estende anche ai familiari conviventi del richiedente.
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