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“C’è una strage di gatti, muoiono per la peritonite infettiva. Un farmaco potrebbe salvarli ma in Italia non è autorizzato”: l’allarme degli animalisti

Ogni giorno gatti malati vengono privati di un trattamento potenzialmente salvavita contro la FIP, la peritonite infettiva felina che sta uccidendo un numero sempre maggiore di mici. Eppure il farmaco esiste: è il GS-441524, già autorizzato nel Regno Unito dal 2021, ma in Italia l’iter per la sua registrazione è fermo. Per questo motivo LNDC Animal Protection ha lanciato nelle scorse settimane una petizione nazionale rivolta al Ministero della Salute per chiedere l’immediata autorizzazione all’uso veterinario del farmaco antivirale in questione. Ilfattoquotidiano.it ha intervistato il Dottor Luca Giansanti, veterinario romano molto seguito sui social, per saperne di più sulla malattia e sugli scenari che attualmente i padroni di gatti con FIP si trovano a vivere.

Che cos’è la FIP?
La peritonite infettiva felina è una malattia causata da un virus che conosciamo molto bene, il Coronavirus. Nei felini si comporta in maniera simile a quanto fa nell’uomo, ovvero muta. Si stima che più del 60% dei gatti entrino in contatto con il Coronavirus almeno una volta nella vita, però c’è chi ha un sistema immunitario che lo tiene bene a bada. Un po’ come l’herpes, questo virus ha la capacità di creare latenza e mutare nel corso del tempo, e di fare del male in due modi all’organismo del gatto.

Quali?
Il primo è attraverso una forma secca che infiammando le pleure e il peritoneo crea delle aderenze e manda in deficit il funzionamento di tutti gli organi. Generalmente causa all’inizio una gravissima gastroenterite che può portare alla morte per shock cardiocircolatorio. C’è poi una forma umida legata alla perdita di liquidi all’interno dell’addome, ma anche e soprattutto a livello del torace: in questo caso l’animale va incontro a una morte peggiore perché si ha un’incapacità di espansione polmonare a causa dei liquidi.

Ci sono esami che diagnosticano questa malattia?
La diagnosi di FIP non è sempre facile e scontata, perché consta di un accostamento del quadro clinico-laboratoristico e di esami specifici che impiegano molto tempo per uscire dai laboratori esterni. Ci vuole anche più di una settimana per avere una diagnosi di FIP. Nel frattempo potrebbe essere utile iniziare una terapia di GS, un analogico nucleosidico un po’ come il Remdesivir che si usa nella medicina umana.

Come agisce questo farmaco?
Si tratta di una molecola che blocca la replicazione virale, come fa l’Aciclovir per l’herpes che conosciamo bene. Adesso il GS è stato creato in una forma anche orale per quei soggetti che si sospetta abbiano contratto la FIP. In questi casi la terapia orale può bastare: è più breve, meno costosa e meno aggressiva per gli organi, perché ricordiamo che quella tradizionale ha un sovraccarico epatorenale non indifferente che può pure ammazzare l’animale quando la malattia viene scoperta molto tardi.

Ci sono tipologie di felini più esposte di altre alla FIP?
Sì, i gatti di razza come abissino, bengala, maine coon, burmese sono più soggetti rispetto a quelli meticci. C‘è una predisposizione di razza, ma è legata anche al singolo animale e alla relazione tra la capacità del suo sistema immunitario di contenere il virus e quella del ceppo contratto di mutare.

Quante vittime fa all’anno in Italia questo virus tra i gatti?
Di circa 10 milioni di gatti domestici il 60% è esposto al Coronavirus felino (FCoV). Tra questi, circa il 2% sviluppa la FIP che, senza trattamento, ha una mortalità prossima al 100%.

Prima ha citato il GS, il cui iter in Italia è però bloccato. Non è un peccato?
Assolutamente sì, perché per esperienza posso dire che è un farmaco che funziona e ha dato degli ottimi risultati. Il problema reale è legato al monopolio di certi farmaci e quindi all’impossibilità di alcune case farmaceutiche di investire. Sicuramente a breve riusciremo ad averlo, ma per ora è ancora un grande problema perché tanti gatti continuano a morire.

Che cosa si può fare finché il farmaco non sarà approvato?
Ci sono veterinari che inviano gruppi di volontari a prendere il farmaco all’estero e, fornendo la posologia, glielo fanno utilizzare sui loro gatti. Così facendo si tutelano da un punto di vista legale dal momento che non possono prescriverlo. Ci sono poi altri veterinari che scelgono di utilizzare il Remdesivir, che per quanto non sia quello specifico è un farmaco molecolarmente molto simile e ha già dato ottimi risultati.

Il farmaco all’estero dove si può reperire?
Da un sito che si chiama CureFIP. Si può comprare senza ricetta.

Siamo sicuri di non sconfinare nella illegalità?
In questo modo si porta in Italia un farmaco che non è registrato come tale, quindi in teoria non si dovrebbe fare. Se lo fa un veterinario è ancora più grave, ecco perché i veterinari non se ne prendono la responsabilità, o al limite prescrivono il Remdesivir in deroga. E poi si fa affidamento sul proprietario perché se non riesci a curare il gatto e lui ti recrimina l’uso di una terapia che non è andata a buon fine può farti causa per aver utilizzato un farmaco che non è registrato. E lì sono guai. Se tutto va bene nessuno ti cerca, ma se non va bene sei alla gogna.

Ma perché il GS è illegale in Italia?
Il GS-441524 non è illegale in sé, ma non è autorizzato all’uso veterinario o umano da parte delle principali agenzie regolatorie. In pratica, non ha ancora completato il processo ufficiale di approvazione: questo prevede studi clinici, valutazione della sicurezza, efficacia e controllo della qualità di produzione. Il problema principale non è il farmaco in sé, che funziona e ha buoni dati scientifici alle spalle, ma il fatto che non esista un prodotto commerciale registrato secondo le normative europee o italiane. Inoltre il GS-441524 è molto vicino chimicamente al Remdesivir, farmaco umano sviluppato contro il Covid-19, protetto da brevetti molto forti: questo complica ulteriormente la sua registrazione come farmaco veterinario autonomo.

Quando si trova a spiegare ai clienti di avere le mani legate perché il GS non è stato ancora approvato in Italia quali sono le loro reazioni?
La classica reazione è di sgomento, perché il medico è arrivato a una diagnosi ma lui non sente di avere una terapia da somministrare al proprio animale. Si sente da solo in mezzo al mare e deve navigare – spendendo tanti soldi e tempo – per cercare di salvare il proprio gatto facendosi arrivare un prodotto dall’estero.

Presi dalla disperazione alcuni padroni pare ricorrano al mercato nero dove però circolano dei preparati privi di tracciabilità e garanzia di sicurezza. Questo vuol dire che ci sono altri prodotti che non sono sicuri?
No, il farmaco è sempre quello, però viene staccata l’etichetta per una questione di tracciabilità, perché tracciabilità significa anche responsabilità. È vero che se non c’è etichetta non si ha garanzia sul contenuto – e per questo è un po’ un’ultima spiaggia – ma se funziona allora probabilmente la molecola è quella, è un analogo nucleosidico. Questo è uno scenario che non dovrebbe esistere, e l’autorizzazione all’immissione in commercio dei farmaci serve proprio ad evitare di ritornare allo sciamanismo in cui si somministra senza sapere cosa c’è dentro.


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