I cinque giorni di lutto nazionale per la morte di papa Francesco, il 25 aprile, la sobrietà e le domande che restano aperte
Cinque giorni di lutto nazionale, dal 22 al 26 aprile, per la morte di Papa Francesco. È la decisione del governo ed è la prima volta che accade. Fino ad oggi non era mai stato proclamato un lutto nazionale così prolungato nemmeno per la morte di altri pontefici. Un’eccezione che, più che sottolineare il rilievo della figura scomparsa, rischia di appesantire il gesto stesso, svuotandolo del suo significato autentico. In particolare se coincide con una data centrale dell’identità democratica del nostro Paese: il 25 aprile, Festa della Liberazione dall’occupazione nazifascista e la rinascita democratica.
Nello Musumeci, ministro per la Protezione Civile ha dichiarato, in un’intervista al Corriere della Sera: «Ci auguriamo che, come a volte accade nelle manifestazioni di strada, non ci siano degenerazioni, scontri, toni violenti. Lo speriamo sempre, ma in questo caso c’è anche una forma di rispetto che si dovrebbe ai tantissimi pellegrini, fedeli, molti gli stranieri, che sono a Roma o che verranno per le varie manifestazioni del Giubileo, solo 120 mila ne sono previsti per quello dei giovani, e dei funerali del Pontefice. Balli e canti scatenati si potrebbero evitare, ecco, mentre la salma è ancora non tumulata».
L’Anpi ha confermato le oltre 2mila manifestazioni in programma spiegando che «probabilmente i concerti rock verranno rimandati». «Dalle manifestazioni del 25 aprile Papa Francesco riceverà solo lacrime e applausi», ha replicato Pier Luigi Bersani. La decisione del governo e la richiesta di festeggiamenti «moderati» ha suscitato diverse polemiche, confermando la data del 25 aprile, ancora una volta, come una giornata che fa discutere nonostante riguardi tutto il Paese e la nostra memoria collettiva. Servivano davvero cinque giorni di lutto nazionale? È un tentativo di mettere in ombra, o comunque silenziare, una ricorrenza così importante per il nostro Paese? Papa Francesco lo aveva detto spesso: «Ricordare, fare memoria: la memoria è quello che fa forte un popolo, perché si sente radicato in un cammino, radicato in una storia, radicato in un popolo. La memoria ci fa capire che non siamo soli, siamo un popolo, un popolo che ha storia, che ha passato, che ha vita».
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