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L’amicizia con gli imam che ha deluso gli ebrei


L'amicizia con gli imam che ha deluso gli ebrei

«Voi siete tutti fratelli». Nel papato della «terza guerra mondiale a pezzi», un posto speciale occupa il capitolo dei rapporti con gli altri monoteismi. Terreno spinoso – fra politica, dottrina e diplomazia – su cui Francesco si è incamminato energicamente, con risultati rilevanti e naturalmente controversi. Il dialogo ebraico-cristiano, dopo segnali promettenti, all’indomani del 7 ottobre ha fatto segnare un arretramento. Al contrario – per quanto foschi fossero i presagi (da Ratisbona alla minaccia del radicalismo islamico) – le relazioni col mondo musulmano sono rinate. «È stato estremamente problematico per il mondo ebraico», ha sentenziato ieri il rabbino capo della comunità ebraica di Trieste, Eliha Alexander Meloni.

«Il mio caro fratello». Nell’ultima domenica di vita terrena del Papa, lo ha chiamato così l’imam di Al Azhar Ahmed Al-Tayyeb, la più alta autorità religiosa dell’imam sunnita, interlocutore privilegiato di Bergoglio. Si erano incontrati una prima volta nel 2016 e fu un momento di svolta. Era infatti lo stesso «papa sunnita» che aveva dichiarato la muqata’a, cioè l’«embargo» dei rapporti con la Chiesa.

In un decennio, la prospettiva si è ribaltata, tanto da suscitare le critiche degli ambienti conservatori, affezionati al primato del cristianesimo. Nel viaggio in Egitto dell’aprile 2017, Francesco si è rivolto al «grande imam» chiamandolo «fratello». Poi nuovo incontro nel 2018 e infine si arrivò al «fraterno incontro» di Abu Dhabi con la firma congiunta, il 4 febbraio 2019, del «Documento sulla fratellanza umana», che ha poi ispirato «Fratelli tutti», l’enciclica in cui l’imam egiziano è citato cinque volte. Quasi un co-autore. «Fratelli perché figli di un unico Dio» si legge là dove il papa chiede che sia garantita la libertà religiosa, nei Paesi in cui i cristiani sono minoranza. E ne ha visitati 14, di Paesi a maggioranza musulmana. Anche il Marocco, e nel logo del viaggio la mezzaluna pareva abbracciare la croce, o inglobarla. Nel 2021 per prima volta nella storia ha visitato l’Iraq. Fin troppi slanci, per qualcuno.

Opposta la parabola dei rapporti con gli ebrei. Carlo Maria Martini aveva archiviato quel sentore di antigiudaismo che pesava sulla storia dei gesuiti. E il Bergoglio argentino aveva coltivato una particolare sintonia col rabbino Abraham Skorka, fra i pochissimi che potesse permettersi di definirlo mi querido amigo. Bergoglio arrivava dopo Wojtya, che per la prima volta aveva varcato la soglia di una Sinagoga a Roma e aveva riconosciuto i «fratelli maggiori nella fede». E dopo Ratzinger, che era arrivato a dire che per un cristiano non dovrebbe essere problematico riconoscere nella «creazione dello Stato di Israele la lealtà di Dio verso Israele». Parlava del Gesù ebreo, Ratzinger, smentiva la «teoria della sostituzione», e nella prefazione a «Un rabbino parla con Gesù» del rabbino Jakob Neusner, spiegava che il Nuovo testamento di Gesù non supera la Torah ma la porta a compimento.

Anche Bergoglio in Israele nel 2014 ha compiuto gesti di grande significato. Ha pregato al Muro occidentale, visitato lo Yad Vashem citando la Genesi, incontrato Netanyahu scherzando su ebraico e aramaico. Soprattutto, al monte Herzl, ha reso omaggio al visionario padre del sionismo Theodor Herzl. Tutto vanificato, dopo il 7 ottobre, dalla guerra. Agli occhi degli ebrei, il Papa ha sottovalutato le ragioni di Israele, mettendo sullo stesso piano gli ostaggi di Hamas e i detenuti nelle carceri israeliane, arrivando a supporre un genocidio a Gaza. Poi a Natale ha ospitato un presepe palestinese con un bambinello avvolto in una kefiah, infine l’ultima polemica, a gennaio quando ha ricevuto il Rettore dell’Università delle Religioni dell’Iran, Abolhassan Navab e l’agenzia di Stato iraniana – non smentita – ha dato notizia di una sintonia sul «problema» di Netanyahu «che ignora i diritti umani».

«La comunità ebraica è molto delusa sì» aveva riconosciuto un anno prima Di

Segni. Non sono mancati messaggi calorosi, nei giorni dell’apprensione per il Pontefice, che il 19 avrebbe incontrato il presidente israeliano Herzog, se le sue condizioni lo avessero consentito. «Siamo tutti preoccupati».


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