Jerome Powell, l’avvocato mite che conquistò Obama e si rifugia nella preghiera
ROMA – Donald Trump lo chiama “Too late”, troppo lento (nell’abbassare i tassi). Ma non è la prima volta che Jerome “Jay” Powell si ritrova messo all’indice dallo stesso presidente che lo aveva nominato nel febbraio 2018. Già all’inizio del 2019 le accuse erano analoghe, e se stavolta si intravvede qualche forma di maldestra ironia, allora Trump non andò per le spicce: il capo della Fed teneva i tassi alti per controllare la crescita americana che rischiava di tramutarsi in bolla speculativa, il tycoon voleva che li abbassasse per tenere alto il suo consenso mentre si avvicinavano le elezioni del 2020.


Si disse «pentito» di averlo nominato, lo definì «un nemico» perché «troppo innamorato dei tassi alti». Neanche con Biden, Powell ha avuto vita facile: il presidente democratico, anch’egli dopo averlo confermato nel 2021, lo invitò con veemenza ad alzare i tassi in risposta all’inflazione post-Covid. Lui avviò i rialzi solo nel marzo 2022, quando l’aumento del costo della vita aveva raggiunto l’8,5%.
In seguito, Powell riconobbe l’errore, peraltro privo di conseguenze drammatiche: l’economia americana è cresciuta a tassi sostenuti fino al 2024, e tutti i numeri – malgrado la narrazione negativa trumpiana – sono da record. Powell è sempre andato dritto per la sua strada e alla fine si è conquistato il consenso della comunità economica internazionale malgrado lo scetticismo che aveva circondato la sua nomina: lui, avvocato (come Christine Lagarde alla Bce), sulla poltrona di gloriosi economisti come Greenspan, Bernanke, Janet Yellen. Ma i risultati hanno parlato a suo favore, e oggi Powell è visto come uno dei pochi, residui punti di riferimento sicuri nello sconvolto panorama istituzionale degli Stati Uniti.


Ora, a 72 anni, il capo della Fed si ritrova in trincea contro il presidente più fumantino della storia americana. Di fronte all’aggressività di Trump fa valere la sua esperienza: dopo il master in legge alla Georgetown University nel 1979, ha abbracciato per pochi anni la professione forense per poi passare a Wall Street.


Prima come partner del gruppo Carlyle, quindi con la sua “boutique” d’investimenti Seven Capital Partners, senza farsi mancare una parentesi da sottosegretario al Tesoro nel 1993 con Bush senior presidente. Iscritto da sempre al partito repubblicano, nel 2012 Barack Obama lo inserisce nel board della Fed, la prima volta che un presidente nomina qualcuno del partito opposto a tale carica. Anche in questo caso Powell ha saputo dribblare le critiche sulla scia dei risultati. Che lo aiutano a difendersi dalla minaccia del licenziamento: ipotesi del resto ardua, visto che la legge istitutiva della Fed, che risale al 1913, prevede l’indipendenza della banca centrale e l’impossibilità per l’Amministrazione di sbarazzarsi del capo a meno di conclamati motivi. Un modello ripreso dalla Banca d’Italia nel 1936, dalla Bundesbank nel 1957, dalla Bce nel 1998.


C’è però il pericolo che Trump, con cui condivide solo la passione per il golf, nomini un membro del board di sua osservanza con il compito di “disturbarlo” dall’interno fino alla scadenza del mandato (di Powell) nel maggio 2026, creando l’ennesima situazione di tensione e incertezza in un ganglio vitale dell’economia. Lui non si scompone, mai una dichiarazione fuori le righe (anche nel suo accorato discorso a Chicago di mercoledì ha evitato di pronunciare la parola “recessione”), tutt’al più si rifugia nella quiete delle comunità episcopali di solidarietà che ha creato, insieme con la moglie Elissa Leonard, produttrice cinematografica, nel villaggio di Chevy Chase, sobborgo di Washington. Aspettando la prossima bordata di Trump.
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