Retail, come affrontare i dazi di Trump: le sfide per il Made in Italy
Donald Trump è tornato alla Casa Bianca e, puntuale come un déjà vu sgradito, la politica commerciale americana si prepara a nuove turbolenze. Durante la campagna elettorale del 2024, Trump aveva anticipato dazi minimi del 10% su tutte le importazioni, arrivando al 60% per i beni provenienti dalla Cina e al 25% per quelli da Canada e Messico; numeri che, ad oggi, appaiono persino ottimistici. Infatti, con Trump nuovamente in carica, il retail internazionale guarda con apprensione ai prossimi mesi. Anche se molte delle tariffe non sono ancora operative, il clima di incertezza ha già cominciato a produrre effetti.
Che cosa abbiamo imparato dalla prima esperienza Trump?
Riguardando al periodo 2018-2019, quando la prima amministrazione Trump impose dazi pesanti, i retailer internazionali si trovarono alle prese con aumenti improvvisi dei costi di approvvigionamento e conseguenti sfide nel pricing. Allora, il comparto agroalimentare, specialmente i prodotti freschi, ne uscì sostanzialmente indenne. Stavolta, però, il rischio è che anche il food venga colpito più duramente, minacciando una delle aree strategiche dell’export italiano negli Usa, come vini, formaggi e pasta premium.
Gli effetti attesi secondo Oliver Wyman
Secondo Oliver Wyman, prestigiosa società internazionale di consulenza strategica, che ha analizzato l’impatto dei precedenti dazi, i retailer rischiano di ripetere alcuni errori del passato. Un esempio emblematico riguarda un grande retailer specializzato che, durante la prima ondata di tariffe del 2018, aumentò i prezzi in maniera diffusa ma moderata, circa il 5%. L’errore fu fatale: quei piccoli aumenti portarono a superare soglie psicologiche chiave (come il passaggio da 0,99 a 1,04 dollari), causando un crollo della percezione di convenienza e un calo netto nelle vendite. Alla fine, l’azienda fu costretta a tornare sui suoi passi, perdendo però valore complessivo nelle vendite.
Successivamente, adottando una strategia basata sull’elasticità della domanda, con incrementi più consistenti (fino al 15%) ma su un set ristretto di articoli (circa 4.000 referenze), lo stesso retailer riuscì non solo a recuperare marginalità (+9%) ma anche a stimolare vendite in crescita del 5%.
La lezione appare chiara: se e quando i nuovi dazi entreranno in vigore, i retailer dovranno adottare strategie di pricing mirate, basate su dati granulari e aggiornati continuamente. Sarà fondamentale comprendere con precisione quali categorie potranno sopportare un aumento e quali invece dovranno persino scendere di prezzo per proteggere il traffico nei punti di vendita.
Competitor e gestione vendor: imparare dai colleghi europei
Ma la strategia sui prezzi non è l’unico aspetto da curare. Oliver Wyman indica l’importanza per i retailer di monitorare attentamente le mosse della concorrenza: chi guiderà i rialzi di prezzo? Chi li seguirà? I retailer dovranno scegliere chiaramente come posizionarsi rispetto alle azioni dei competitor, bilanciando penny-profit e margine assoluto.
Inoltre, guardare alle esperienze dei colleghi europei può essere illuminante: durante la recente ondata inflattiva, alcuni retailer (come Carrefour e Tesco) hanno gestito efficacemente le relazioni con i fornitori. Hanno introdotto una comunicazione diretta con i clienti, informandoli sulla disponibilità (o meno) dei fornitori a collaborare nella gestione degli aumenti dei costi. Potrebbe essere una buona pratica da importare oltreoceano, premiando la trasparenza e punendo indirettamente quei fornitori poco propensi a una gestione collaborativa della crisi tariffaria.
Italian sounding: un rischio concreto e crescente
Nel frattempo, l’Italia e il Made in Italy rischiano molto più di quanto appaia. Coldiretti ha recentemente aggiornato i dati: l’Italian sounding vale oggi nel mondo oltre 120 miliardi di euro, il doppio dell’export agroalimentare autentico italiano, che nel 2024 ha raggiunto circa 60 miliardi di euro. Di questi 120 miliardi, più di 40 provengono dagli Stati Uniti.
I nuovi dazi, non ancora implementati ma già capaci di generare incertezza, rischiano di accelerare ulteriormente il fenomeno, favorendo prodotti imitativi più economici. Il consumatore americano potrebbe orientarsi verso opzioni meno costose e meno autentiche, scegliendo “Parmesan” made in Usa invece di Parmigiano Reggiano autentico o un “CalSecco” californiano invece del vero Prosecco veneto.
Non è solo una questione economica, ma anche culturale: l’Italian sounding potrebbe intaccare in modo significativo la reputazione globale del Made in Italy, riducendo gradualmente il nostro vantaggio competitivo basato sulla qualità e sull’autenticità.
Strategie urgenti per commercio e industria italiani
Davanti a questo scenario di incertezza e rischio, il retail e la produzione italiani devono accelerare alcuni cambiamenti strutturali, a partire da una diversificazione geografica delle fonti produttive, per evitare una pericolosa sovraesposizione a mercati ad alto rischio tariffario. Serve inoltre agire con prontezza su operazioni di forward-buying, cercando di anticipare l’onda lunga dei rincari sulle categorie più esposte. Un altro fronte strategico è rappresentato dalle private label, che non solo offrono un maggior controllo sulla filiera e sui costi, ma permettono anche di modellare l’offerta in modo più agile e mirato. E infine, ma non meno importante, sarà decisivo investire in soluzioni tecnologiche evolute, dalla blockchain ai sistemi intelligenti di tracciabilità, per comunicare al mercato, con trasparenza e autorevolezza, l’autenticità e la qualità inimitabile del Made in Italy. Perché oggi, più che mai, la reputazione non è solo un valore: è un argine.
Prepararsi a una lunga fase di incertezza
I dazi imposti durante il primo mandato Trump si sono dimostrati straordinariamente resistenti, e neppure l’amministrazione Biden è riuscita a rimuoverli completamente. Dunque, i retailer devono prepararsi a una nuova stagione in cui prezzi più alti potrebbero diventare strutturali, costringendoli a compensare attraverso una razionalizzazione dei costi interni e delle strategie di prezzo e promozione.
Come dice Oliver Wyman, per prosperare in questa nuova era Trumpiana, la flessibilità, la rapidità decisionale e una governance robusta saranno elementi imprescindibili. Il retail deve imparare a ballare agilmente su montagne russe sempre più instabili, cogliendo opportunità dove gli altri vedono soltanto crisi. Perché se c’è una sola certezza, con Trump presidente, è che nulla è certo.
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