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Taglio dei tassi, la Bce resta cauta e studia i dati sull’inflazione

La bussola che guida il cammino della Bce è l’inflazione. Navigando nella tempesta dei dazi Usa, nella «fenomenale incertezza» di questi tempi come l’ha definita la presidente Christine Lagarde, tra le onde delle turbolenze finanziarie e volatilità estrema, la Bce punta diritto a mantenere la stabilità dei prezzi, a centrare il suo mandato e «assicurare che l’inflazione si stabilizzi durevolmente sull’obiettivo del 2% a medio termine».

Alla riunione di giovedì è prevedibile che il Consiglio direttivo – che ha un approccio guidato dai dati – stabilirà se tagliare ancora i tassi (sarebbe il settimo taglio dal giugno 2024) o mantenere l’attuale tasso dei depositi al 2,5 % sulla base dalla valutazione aggiornata delle prospettive di inflazione, della dinamica dell’inflazione di fondo e dell’intensità della trasmissione della politica monetaria. Tenuto conto che «i rischi sono ovunque» e «l’incertezza è dappertutto».

È probabile che la Bce resti prudente, tenendo fermo il 2,5% in attesa di nuovi dati e nuovi sviluppi.

Tenere sotto controllo l’inflazione è un obiettivo estremamente complesso nel contesto attuale, perché è influenzata da molte variabili nell’area euro: la domanda, il potere di acquisto dei consumatori, salari, dazi e controdazi, lo stato di salute dell’economia, le prospettive di profitto delle imprese, le condizioni del credito, la fiducia, le aspettative inflazionistiche, la stabilità finanziaria, la qualità della trasmissione della politica monetaria e non solo. Oltretutto queste variabili sono molto instabili: come ha sottolineato Lagarde, «da un giorno all’altro, la situazione cambia radicalmente».

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E allora, come si presenta l’inflazione sull’orlo di una guerra commerciale mondiale? Molti degli shock attuali contraggono la domanda e spingono l’inflazione al ribasso: le tariffe volute da Trump sulle importazioni, che fanno salire i prezzi negli Usa e sono una sorta di tassa per i consumatori americani, non fanno bene all’economia e una possibile recessione eserciterebbe una pressione all’ingiù sull’inflazione nell’eurozona. In un’economia che va male, il potere delle imprese di muovere i prezzi all’insù è attenuato, e anche questa è una spinta disinflazionistica. I prezzi dell’energia dall’inizio dell’anno sono scesi molto: il petrolio è calato di oltre il 15% e il gas di più del 25% e anche questo ha ripercussioni al ribasso sull’inflazione complessiva. Al tempo stesso, se la Ue dovesse poi rispondere a Trump con nuove tariffe sulle importazioni di prodotti americani in Europa, ciò eserciterebbe pressioni al rialzo nel breve termine per l’inflazione nell’area dell’euro.


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