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Strage Avellino, condanna definitiva per ex ad Aspi Castellucci: andrà in carcere. L’avvocato: “È pronto a costituirsi”

È definitiva la condanna a sei anni per l’ex amministratore delegato di Autostrade per l’Italia, Giovanni Castellucci, al termine del processo sulla strage del 28 luglio del 2013, quando un bus precipitò dal viadotto Acqualonga nella zona di Monteforte Irpino, in provincia di Avellino, causando la morte di quaranta persone. La conferma è arrivata dai giudici della Quarta sezione penale della Cassazione. Il manager – tra i principali imputati anche per il crollo del ponte Morandi a Genova – era accusato di disastro colposo e omicidio colposo. In primo grado era stato assolto dal Tribunale di Avellino, sentenza poi ribaltata dalla Corte d’Appello di Napoli. Il pullman, con un milione di chilometri alle spalle, riportava a casa una comitiva di ritorno da una gita in Puglia: verso le 20:30 del 28 luglio, mentre percorreva l’A16 Napoli-Canosa, perse il giunto cardanico che garantisce il funzionamento dell’impianto frenante, iniziando a ondeggiare. Dopo aver percorso un chilometro senza freni tamponando varie auto, nel tentativo disperato di frenare la corsa, l’autista si affiancò ai guardrail del viadotto Acqualonga, che cedettero facendo precipitare il mezzo nel vuoto da un’altezza di quaranta metri. La perizia svolta in primo grado aveva sostenuto che la strage si sarebbe potuta evitare e “derubricare in grave incidente stradale se solo le barriere fossero state tenute in perfetto stato di conservazione dal concessionario, cioè Autostrade.

La conferma della condanna apre le porte del carcere per Castellucci: “È pronto a costituirsi, attendiamo l’ordine di carcerazione”, conferma il suo avvocato Filippo Dinacci. “Le decisioni si rispettano anche quando risultano incomprensibili. La decisione della Suprema Corte di Cassazione ci ha molto colpito. Sulla base delle prove che abbiamo fornito siamo convinti che l’ingegner Castellucci sia totalmente estraneo ai fatti e abbia sempre svolto accuratamente i propri doveri di amministratore delegato”, scrive in una nota insieme all’altro difensore, l’ex ministra Paola Severino. La stessa pena, sei anni, è stata confermata per l’ex direttore generale di Aspi Riccardo Mollo e per i dipendenti Massimo Giulio Fornaci e Marco Perna. Di cinque anni la condanna per il dirigente di Aspi Nicola Spadavecchia e per il direttore di tronco Paolo Berti; di tre anni per il dirigente Gianluca De Franceschi e per i due dipendenti Gianni Marrone e Bruno Gerardi. Il proprietario del bus, Gennaro Lametta, è stato condannato alla pena più alta, nove anni; quattro anni invece per l’allora dipendente della motorizzazione civile di Napoli Antonietta Ceriola (in primo grado era stata condannata a otto anni).

Nella sua requisitoria, la sostituta procuratrice generale Sabrina Passafiume aveva sollecitato per Castellucci un appello bis per la rivalutazione della condanna per l’accusa di omicidio colposo, e l’assoluzione con la formula “perché il fatto non sussiste” per l’accusa di disastro colposo. Pur parlando di una “situazione di incuria protratta per numerosi anni” e di una “colpevole inerzia da parte di chi doveva monitorare”, la pm aveva chiesto l’assoluzione dal disastro colposo anche per gli altri dirigenti della società e dipendenti del Tronco autostradale. Per il proprietario del bus, invece, era stata chiesta la conferma della condanna: il mezzo, ha ricordato la rappresentante dell’accusa, “aveva un certificato falso di revisione“, che non veniva effettuata dal 2011, ed “era privo dei requisiti minimi per circolare. Lametta ha posto in circolazione un mezzo in pessime condizioni mettendo a rischio le vite dei passeggeri”.

Il Comitato dei parenti delle vittime del ponte Morandi esprime “pieno apprezzamento” per la sentenza: “Nessuno potrà restituire le vite spezzate alle proprie famiglie e lenire il dolore, ma la giustizia ha fatto emergere un sistema di manutenzione inefficace, viziato da carenze enormi, incompetenza, mediocrità, il tutto al fine di diminuire le spese in sfregio alle vite umane“, si legge in una nota. Secondo gli avvocati Dinacci e Severino, invece, l’accusa mossa a Castellucci “riguardava attività di esclusiva competenza del progettista, neppure indagato, e ritenevamo pertanto corretta la richiesta del procuratore generale della Cassazione di annullare la sentenza”, scrivono. “Con questa sentenza”, sostengono, “le responsabilità dei vertici diventano pericolosamente onnicomprensive. Utilizzeremo tutti gli istituti che la legge consente affinché possa essere riconosciuta la sua innocenza”.


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