Società

Pasta, export da record in attesa di risolvere il rebus sui dazi

Mentre l’ombra del protezionismo si allunga sull’agroalimentare italiano e si fanno i conti sul possibile impatto dei nuovi dazi Usa, l’export di pasta Made in Italy archivia un anno da record. La produzione simbolo dell’agroindustria italiana ha chiuso il 2024 con un aumento del 9,3% dei volumi esportati, oltre i 2,5 milioni di tonnellate, secondo miglior risultato di sempre dopo il 2020, l’anno del Covid e del conseguente lockdown che aveva fatto volare i consumi mondiali. È record assoluto invece per il fatturato estero che ha superato 4,3 miliardi, con una crescita del 5,1%, più contenuta rispetto a quella dei volumi per effetto di una riduzione dei prezzi medi del 4% circa.

Nella geografia delle spedizioni va registrata la crescita delle vendite proprio negli Stati Uniti (+21,5%), che si confermano di gran lunga il primo mercato di sbocco tra i paesi extra-Ue con 327mila tonnellate e un fatturato che sfiora i 700 milioni, e in Canada (+13,7%). In generale le vendite fuori dall’Europa corrono a una velocità quasi doppia rispetto alla media Ue (+12,3% contro +6,6%). Nel Far East spiccano gli aumenti a doppia cifra in Cina (+18,7%) e Corea del Sud (+25,7%), mentre il Giappone (mercato che con 70mila tonnellate vale più dei primi due messi insieme) ha messo a segno nel 2024 una performance meno brillante ma comunque positiva (+3,6%). Tra i paesi Ue bene la Germania, primo mercato di sbocco in assoluto con oltre 485mila tonnellate vendute (+9,8%), Spagna (+13%), Francia (+5%) e male il Belgio, mercato importante che ha perso l’11,7% dei volumi.

In attesa di capire il reale impatto dei nuovi dazi dopo i 90 giorni di pausa concessi da Trump, sembra scontato che il record 2024 non sarà superato quest’anno. «Con quasi 700 milioni gli Stati Uniti valgono il 17% dell’export totale, i dazi sulla pasta ci sono già – sottolinea Cristiano Laurenza, segretario generale dei pastai di Unione Italiana Food –, di due tipi: quelli antidumping, che non dipendono da Trump e si applicano a prescindere in base a un complesso metodo di calcolo, e quelli cosiddetti anti-sovvenzione, applicati sul presupposto che le aziende ricevano sussidi in cui rientrano magari anche le detrazioni fiscali, aggiornati ogni anno e oggi circa al 6 per cento. Ora siamo preoccupati anche per le contromisure Ue, perché andrebbero a colpire il grano nordamericano di alta qualità, con conseguente impatto sull’approvvigionamento ma anche sui prezzi internazionali e un effetto domino sulle altre materie prime».

Il rischio delocalizzazioni, spiega Laurenza, «potrebbe esserci solo nel medio lungo periodo con contromisure strutturali che non sono all’ordine del giorno. La pasta è un prodotto accessibile e sostenibile che paradossalmente potrebbe pagare il prezzo più alto dei dazi. Ora bisogna evitare un’escalation».

La decisione dell’amministrazione Usa, aggiunge Andrea Valente, presidente di Italmopa, l’associazione dell’industria molitoria che compra il grano e lo trasforma in farine e semole per i pastifici, «colpisce l’industria molitoria nazionale sia direttamente con l’applicazione di dazi sulle nostre farine e semole, sia indirettamente in quanto tali dazi saranno comminati anche ad altri prodotti per i quali le farine e le semole risultano essere l’ingrediente principale». L’export negli Usa di farine e semole, ricorda Italmopa, è cresciuto del 24% nel 2024 e del 135% negli ultimi dieci anni.


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