Quelle 18 ore che hanno convinto Trump a fare retromarcia

Ore concitate quasi da Caccia a Ottobre rosso in quel di Washington, ma in versione guerra dei dazi. All’indomani della quasi virata sulle tariffe doganali estere, il presidente Usa racconta come ha partorito la decisione:”È arrivata dal cuore“, ha dichiarato Donald Trump con la consueta teatralità, giustificando così la sua decisione di sospendere per novanta giorni i dazi contro 75 Paesi che non ne applicano di reciproci, lasciando solo un residuo 10% e, nel frattempo, alzando al 125% quelli cinesi.
Una decisone “col cuore”
Una mossa presentata come un’illuminazione personale, un gesto impulsivo e “di getto”. Ma dietro la facciata emotiva, la realtà racconta un’altra storia: 18 ore di pressioni, crisi di nervi, mercati sull’orlo del baratro e una Casa Bianca travolta dal panico.
Tra martedì sera e mercoledì pomeriggio, il presidente e i suoi consiglieri per il commercio sono stati travolti da un fitto giro di consultazioni. Parlamentari repubblicani e leader stranieri hanno espresso preoccupazione crescente per la tenuta dell’economia globale e per l’incubo sempre più concreto di una recessione. “Invitandolo a fare qualcosa”, come recita il linguaggio diplomatico ufficiale. L’annuncio arriva come da copione: con un post a sorpresa su Truth Social, la piattaforma prediletta. “Ci pensavo negli ultimi giorni”, ha spiegato Trump il giorno seguente nello Studio Ovale, aggiungendo: “La decisione finale è arrivata probabilmente questa mattina presto, molto presto. Non abbiamo utilizzato avvocati, l’abbiamo scritta col cuore: ne parlavamo da un po’, abbiamo deciso di premere il grilletto e lo abbiamo fatto oggi. E ne siamo felici”.
I retroscena in quel di Fox News
Eppure, i retroscena parlano chiaro: le ore precedenti all’annuncio sono state segnate da una corsa frenetica per evitare il disastro. La svolta si consuma martedì dopo le 21, quando Sean Hannity, voce storica di Fox News e megafono preferito da Trump, manda in onda un’intera puntata con ospiti senatori repubblicani visibilmente allarmati. In studio si alternano John Thune, Lindsey Graham, Tim Scott, John Neely Kennedy, Katie Boyd Britt, Tom Cotton, Ted Cruz e Markwayne Mullin. Il messaggio è univoco: smettere di giocare con il fuoco e aprire un negoziato con i Paesi disposti a dialogare.
Graham aveva confidato ai colleghi che Trump avrebbe guardato il programma. Durante l’ultima pausa pubblicitaria, Kennedy si rivolge direttamente al conduttore: “Quindici secondi per rivolgersi direttamente al presidente”. Subito dopo la diretta, partono le chiamate. Diversi senatori presenti si mettono in contatto con Trump, il quale — parlando di “gente nauseata” — stava monitorando l’andamento del mercato obbligazionario. “Lascerò a te decidere cosa è abbastanza e cosa non lo è”, gli avrebbe detto Graham, “ma penso che vedi che la gente ha bisogno di ottenere qualcosa”. Ted Cruz, da parte sua, gli avrebbe presentato una scelta manichea: usare i dazi come leva negoziale, oppure mantenerli e spingere gli altri Paesi a reagire con misure simmetriche. “Quest’ultimo, ho detto al presidente, sarebbe un esito terribile e pericoloso per il Paese e per il Texas”, ha dichiarato Cruz al Washington Post. “L’ho anche incoraggiato, come avevo già fatto durante lo show di Hannity, a negoziare rapidamente uno o più accordi commerciali”.
La decisione di mercoledì mattina
Con queste parole ancora fresche nella memoria, Trump va a dormire. La mattina successiva, incontra alla Casa Bianca il senatore Thune e tiene un colloquio telefonico di 25 minuti con la presidente svizzera Karin Keller-Sutter. Durante la chiamata, la leader elvetica lo invita ad allentare le misure protezionistiche, sottolineando che le imprese svizzere generano occupazione negli Stati Uniti e che la Svizzera, nel frattempo, ha abolito i dazi sulle importazioni industriali americane. Alle 8, Trump è di nuovo sintonizzato su Fox News. Jamie Dimon, amministratore delegato di JPMorgan Chase, rilascia un’intervista in cui ribadisce quanto da giorni afferma: la politica commerciale del presidente rischia di portare dritto a una recessione. “Ho una visione calma, ma penso che le cose potrebbero peggiorare se non facciamo progressi”, dichiara in TV. È in quel momento che Trump inizia seriamente a riflettere su un’inversione di marcia. Poco dopo, pubblica su Truth: “Siate freddi”. Quindi aggiunge, quasi a voler risollevare il morale degli investitori: “È un ottimo momento per comprare”.
Contemporaneamente, il segretario al Commercio Howard Lutnick è al telefono con il commissario europeo Maros Sefcovic. Intorno a mezzogiorno, Lutnick e il segretario al Tesoro Scott Bessent sono nello Studio Ovale con il presidente. Ma un’assenza risalta: Peter Navarro, l’architetto della linea dura sui dazi, non è stato convocato. Un segnale forte, che fa pensare a un suo progressivo isolamento. Lutnick, poco dopo, pubblica su X un messaggio trionfante, definendo quello appena pubblicato da Trump su Truth “uno dei post più straordinari della sua presidenza”. Il contenuto? L’annuncio della moratoria di 90 giorni. La reazione è immediata. Alcuni consiglieri, come Stephen Miller, corrono ad applaudire le “capacità strategiche” e la “brillante pianificazione tattica” di Trump, affermando che “in pochi giorni ha fatto più per riformare il commercio internazionale di quanto sia stato fatto in decenni, al tempo stesso isolando politicamente ed economicamente l’architetto dell’aggressione economica, ovvero la Cina”.
Ma non tutti erano informati. Diversi alti funzionari vengono colti di sorpresa. Parte una riunione d’emergenza per capire come gestire la nuova fase. Seguono una conferenza stampa con Bessent e la portavoce Leavitt. I dettagli del piano? Fumosi. Ma almeno, i mercati hanno reagito con un rimbalzo da record.
E Navarro? Appare infine davanti alle telecamere di Fox Business, dove si affretta a smentire ogni voce su un suo isolamento. “Lavoriamo bene insieme, io e Scottie (Bessent, ndr) siamo ottimi amici”, afferma. Ma il clima, là fuori è tutto fuorché disteso.
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