Demenze, 1200 nuovi casi all’anno. Sette mesi per l’assegno di cura – Cronaca
BOLZANO. In Italia c’è una bomba demografica che sta per scoppiare. Le proiezioni al 2050 dicono che ci saranno due milioni e mezzo di italiani in meno e gli over 65 diventeranno più di un terzo della popolazione (20 milioni di persone, di cui oltre 4 milioni avranno più di 85 anni). Popolazione sempre più anziana e sempre più a rischio demenza. Lo sa bene Ulrich Seitz – presidente dell’Associazione Alzheimer Alto Adige – che traccia un quadro della situazione.
1.200 nuovi casi l’anno, 11 mila assistiti a casa
«Ogni anno in provincia di Bolzano – dice Seitz – registriamo 1.200 nuovi casi di demenza. I malati sono circa 13.500, (il 25% in più rispetto al 2016), 11 mila vengono assistiti a casa per un periodo che varia dai 6 agli 11 anni. Tantissimi. Nel 70% dei casi le famiglie non ce la fanno da sole e vengono aiutate dalle badanti. Registriamo però ritardi importanti nella valutazione della non autosufficienza che da diritto all’assegno di cura. Direi che l’attesa media è di sette mesi. Sinceramente troppi». Nelle scorse settimane l’assessora provinciale al sociale Rosmarie Pamer aveva ammesso tempi lunghi: «Facciamo il possibile ma mancano infermieri e gli operatori socio assistenziali necessari per le visite che accertano la non autosufficienza. Soffriamo la mancanza di lavoratori qualificati, i tempi dei concorsi e i pensionamenti. Mancano anche i locali per le valutazioni». «Capisco tutto – ribatte Seitz – ma i tempi vanno tagliati anche se l’assegno, quando finalmente arriva, è retroattivo. Negli ultimi 12 mesi l’Associazione ha ricevuto circa 500 chiamate da familiari in difficoltà attraverso il numero verde specifico 800660561 e molti sono in attesa dell’ assegno».
Nelle case di riposo mancano i posti intermedi
«Per aiutare i familiari o gli assistenti privati e le badanti – continua Seitz – esiste sulla carta l’accoglienza temporanea del malato presso le case di riposo. Purtroppo però non si trovano letti vuoti e quelli esistenti sono prenotati per gli anni a venire, la sintesi è una sola, ci rimettono le famiglie, col carico di lavoro che diventa insopportabile senza un periodo di “sollievo”. Per questo torno a dire che vanno trovati letti intermedi. Occorrono adeguamenti perché le famiglie sono sottoposte a pressione eccessiva per lunghi anni».
Alzheimer, retta non dovuta«Chiarezza sulla sentenza»
La figlia di una signora malata di Alzheimer ricoverata in Trentino, in casa di riposo, ha fatto ricorso ed ha chiesto la restituzione della “retta alberghiera” pagata per 11 anni. Dopo il parere negativo del Tribunale di Trento (febbraio 2019) e della Corte d’appello (marzo 2020), la Cassazione ha accolto il ricorso, riconoscendo che si trattava di “prestazioni di natura sanitaria”. La Corte d’appello di Trento è chiamata a stabilire la somma da restituire alla famiglia. In 11 anni sono stati pagati più di 100 mila euro di ” alberghiera”. «La realtà altoatesina è strutturata diversamente dal resto d’Italia – riprende Seitz – ma la sentenza pone degli interrogativi ed è comunque necessario istituire un tavolo di lavoro con esperti legali per approfondire il tema. Il nostro compito è molteplice. Dobbiamo difendere il cittadino e fare in modo che abbia quanto gli è dovuto ma fare molta attenzione perchè rischiamo in futuro che le case di riposo non accettino più pazienti con Alzheimer per il timore di ricorsi e di dover restituire cifre importanti».
La popolazione va informata: al momento la retta va pagata
L’assessore Juri Andriollo, presente venerdì all’assemblea dei soci, ricorda un precedente simile che ha costretto la Provincia a novembre 2024 a togliere la quota alberghiera a carico dei pazienti complessi. «Una battaglia iniziata dall’ex consigliere comunale Maurizio Puglisi Ghizzi – che per anni si era trovato a pagare una parte di retta importante per la moglie Alessandra, ricoverata al Lungodegenti Firmian. E adesso anche per l’Alzheimer va fatta chiarezza. Occorre però informare la popolazione, dire che la Provincia sta facendo una serie di valutazioni sulle sentenze, ma dico anche di continuare a pagare la retta. In tanti infatti ci chiedono se devono smettere».