Ambiente

Dopo l’autonomia, la sfida del Mezzogiorno

Il 23 marzo 2023 il ministro Calderoli presentava al Senato il suo disegno di legge sull’autonomia regionale differenziata: sono trascorsi da poco due anni esatti. Quella proposta ha fatto discutere animatamente le forze politiche e l’opinione pubblica, tanto che sembra sia trascorso molto più di 24 mesi. All’approvazione della legge, nel giugno 2024, è seguita una vasta mobilitazione popolare per il referendum abrogativo e una netta bocciatura da parte della Corte costituzionale, che ha sostanzialmente smontato la norma approvata dal Parlamento.

Oggi il dibattito è in una fase di stallo. Pare che alcuni esponenti della maggioranza vogliano rilanciare l’originario progetto autonomista e certo il ministro Calderoli non ha intenzione di desistere (tanto che nei giorni scorsi ha presentato una nuova proposta per delegare al governo la determinazione dei LEP), ma la sentenza della Consulta non sembra lasciare molti margini d’azione. Nell’opposizione c’è stata una convergenza nel sostenere il referendum, ma da quando è stato dichiarato inammissibile – proprio perché molteplici disposizioni della legge erano state dichiarate illegittime – non sono emerse proposte condivise. Non si può però rinunciare a ridefinire le politiche regionali, quelle che Martin Wolf ha indicato sul Financial Times come una delle principali sfide economiche, politiche e sociali del nostro tempo. E due anni di lavori parlamentari e discussioni rappresentano un patrimonio da non sprecare.

Ci sono due elementi da cui ripartire. Il primo è quanto affermato dalla Consulta sul regionalismo italiano. Nella lunga sentenza (n. 192 del 2024) è detto chiaramente che i tentativi fin qui portati avanti di separare i destini delle diverse regioni non sono accettabili, perché la nostra costituzione prevede un regionalismo cooperativo e non duale o competitivo. Questo impone un ripensamento rispetto a quanto portato avanti negli ultimi anni.

Il secondo è la ritrovata centralità del Mezzogiorno. Da diverso tempo le difficoltà di quest’area faticavano a trovare spazio nel dibattito, se non a livello locale, ma la proposta Calderoli ha suscitato una vasta preoccupazione per il futuro del Sud. Oltre un milione di firme per il referendum non hanno espresso solo il malessere dei suoi abitanti, perché sono arrivate numerose adesioni anche dal Centro-Nord. Questo significa che tanti hanno ritenuto inaccettabile l’idea di un meridione lasciato solo con i suoi problemi. Una posizione sintonica con il regionalismo cooperativo indicato dalla Consulta, che apre la strada ad una prospettiva nuova: ripensare e rilanciare le politiche di coesione, dando nuova centralità al Mezzogiorno.

Qualcuno potrebbe dirsi critico perché in passato con il cosiddetto “intervento straordinario” furono sprecate grandi risorse. In realtà nei primi venticinque anni di tale intervento (a partire dal 1950) i risultati erano stati eccellenti, come ebbe a scrivere anche Indro Montanelli, non dubitabile di favoritismo per il meridione. Poi negli anni Ottanta l’intervento straordinario ha effettivamente perso efficacia, favorendo sprechi e malaffare. Nello stesso periodo, però, accadeva qualcosa di molto simile anche al Nord, che lo scandalo Tangentopoli avrebbe fatto emergere. La radice del problema non era quindi nel Mezzogiorno, ma nella crisi dei partiti. Ciononostante, si è scelto di cancellare l’intervento straordinario, che andava invece riformato, e dare spazio alla questione settentrionale a scapito di quella meridionale. Ma nei vent’anni e più che sono seguiti la performance del Paese non ne ha beneficiato e anche le regioni del Nord hanno perso terreno rispetto alle regioni europee più dinamiche.


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