Da Gene Hackman alla coppia di Verona trovata mummificata, la direttrice del Master sulla morte: «Perché si muore soli? Non abbiamo creato sufficienti legami solidaristici alternativi alla famiglia»
Potrebbero non essere morti insieme Marco Steffenoni e Maria Teresa Nizzola, marito e moglie i cui corpi sono stati trovati mummificati, mesi dopo la morte nella loro villa nel veronese. Lo stesso è accaduto a Gene Hackman e alla moglie. Sono due casi ravvicinati, ma sono solo le ultime morti sole. Nelle cronache degli ultimi anni si trovano sempre più spesso notizie di persone trovate morte in casa dopo mesi, persone sole che nessuno aveva cercato, persone che in molti casi non hanno cercato soccorso.
Sono morti che non sono contate statisticamente in Italia. Non c’è una statistica di chi è morto solo, come c’è invece per chi perde la vita in un incidente stradale, sul lavoro o per un tumore. In Giappone esiste un termine per indicare la morte in solitudine: kodokushi. Nel paese del Sol Levante esistono anche statistiche. Secondo i dati, pubblicati nel maggio 2024, dell’Agenzia nazionale di polizia circa 68mila persone con un’età superiore ai 65 anni sono morte da sole in casa senza il supporto di conoscenti o familiari in un anno. Questo è avvenuto malgrado la legge per combattere l’isolamento sociale del maggio 2023. Una morte solitaria è definita dalle autorità giapponesi, una di quelle in cui si verifica un decesso «senza che nessun altro ne sia testimone, e il trascorrere di un certo periodo di tempo prima che il corpo venga ritrovato».
Il dato delle morti in solitudine è in costante aumento in Europa. Secondo una ricerca del Journal of the Royal Society of Medicine, queste morti, in Inghilterra e Galles, sono quintuplicate dal 1992 al 2022. Il patologo Theodore Estrin-Serlui, stima che solo nel 2022 sarebbero stati circa 9mila i morti in solitudine in Inghilterra e Galles. A Berlino le sepolture d’ufficio sono circa 2.500 l’anno, il 7% del totale.
Sono dati da legare direttamente all’evoluzione della famiglia e della società, all’estero, ma anche in Italia. I coniugi veronesi avevano scelto di isolarsi dal mondo, lo stesso avevano fatto Gene Hackman e la moglie. Spesso anche persone con parenti vicini perdono i contatti con loro e non coltivano amicizie. Come si creano queste solitudini? Ines Testoni è la direttrice del primo master in Italia in Death Studies and End of life, presso l’Università di Padova. «Dalla seconda metà del Novecento a oggi la società ha subito cambiamenti, anche molto positivi, ma rispetto ai quali non c’è stato un lavoro di presa di coscienza collettiva. Il declino del patriarcato, ancora non terminato, è una benedizione, un’evoluzione positiva della società occidentale, ma comportato la nuclearizzazione delle famiglie e l’elementarizzazione dei rapporti familiari. Non c’è più il patriarca che dominava due generazioni su una famiglia allargata con tutte le aberrazioni e il patimento che c’erano in questo sistema, in particolare per lo sfruttamento della figura femminile. La famiglia nucleare però non può più contare su legami solidaristici intergenerazionali. C’è stata l’autonomizzazione delle giovani generazioni e delle donne soprattutto, anche se ancora il lavoro di cura ricade ancora per gran parte su di loro, e non abbiamo creato sufficienti legami solidaristici alternativi al modello precedente».
I giovani vanno a lavorare sempre più spesso lontano da dove vivono i genitori che si trovano a dover fronteggiare. «Vale per tutti, non solo per l’Europa, anche chi emigra da Asia o Africa lascia genitori destinati in qualche modo a vivere soli». Chi rimane senza il supporto delle generazioni più giovani, non ha però neanche un modello sociale di solidarietà, del senso dello stare insieme, che permetta alle persone di condividere spazi comuni.
«Studiando le dinamiche in cui si gestiscono la morte e la malattia a livello sociale, si capisce chiaramente che l’unica gestione che conosciamo è quella medico-sanitaria. Dell’anziano si preoccupa qualcuno, con risorse limitate, nel momento della malattia. Il grande problema che isola le persone è la prospettiva della morte, che sembra unica per gli anziani. Anche le religioni non coltivano più la spiritualità, ma guardano alla politica e diventano divisive su temi sociali come le unioni e l’amore fra persone dello stesso sesso. Stiamo lasciando le persone anziane senza alternative: cercano l’autonomia fino all’ultimo perché la società ha per loro la risposta quasi unica della Rsa. Manca i legami che aiutano a dare senso al momento finale della vita come momento di distacco».
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