Cosmai, il direttore di carcere che sfidò la ‘ndrangheta
Quarant’anni dalla morte di Sergio Cosmai ucciso a Cosenza, il 13 marzo 1985, mentre andava a prendere la figlia a scuola
COSENZA – Quarant’anni dalla morte di Sergio Cosmai, il direttore del carcere di Cosenza, originario di Bisceglie, ucciso a Cosenza il 13 marzo del 1985 a soli 36 anni, mentre andava a prendere sua figlia all’asilo.
L’OMICIDIO VOLUTO DAI BOSS
Un omicidio voluto dai boss cosentini, abituati a comandare anche all’interno del carcere e ai quali Cosmai, senza mai perdere di vista i diritti dei detenuti, e anzi, tutelando tra loro i soggetti più fragili, oppose una ferma resistenza, ripristinando regole che erano ormai disattese da tempo.
L’EVENTO IN MEMORIA DI SERGIO COSMAI NEL SALONE DELLA PROVINCIA DI COSENZA
Oggi, mercoledì 12 marzo, per ricordarlo, nel Salone degli Specchi della Provincia, si terrà l’evento commemorativo intitolato “Sergio Cosmai, un delitto di ‘ndrangheta”. Il ricordo di un servitore dello stato 40 anni dopo”.
«Mi fa piacere che mio marito venga ricordato – sottolinea Tiziana Palazzo-. Cosenza è la città dove la vita di Sergio è terminata e questo suo ritorno rappresenta la speranza di un impegno futuro.
Anche il presidio cosentino di “Libera” intitolato a lui, per me è molto più importane di una stele commemorativa o di qualche orribile monumento. Il fatto che un gruppo nutrito di volontari abbia deciso di ritrovarsi con altri familiari delle vittime innocenti di ‘ndrangheta, e abbia pensato a Sergio Cosmai, tra l’altro non calabrese, per intitolare un presidio di “Libera”, mi ha emozionata profondamente.
Questo significa riconoscere il merito di una lotta che non può avere confini regionali ma che si compone di valori universalmente riconosciuti».
UN PACIFISTA, RIGOROSO MA INCLINE AL CAMBIAMENTO
Cosmai era un giovane pacifista, sempre molto attento ai bisogni delle persone più deboli, rigoroso ma incline al cambiamento. Cercò di seguire e di applicare i nuovi orientamenti in materia detentiva, che per la prima volta vedevano nel detenuto non solo un soggetto da punire ma anche e soprattutto da recuperare.
Volava alto il giovane direttore e per i boss cosentini che manifestavano il loro potere anche attraverso i privilegi di cui riuscivano a godere all’interno del carcere, quel percorso di legalità imposto con fermezza quando era necessario, ebbe il sapore di una vera e propria sfida.
Cosmai, e lo sottolinea anche la moglie Tiziana che era in attesa del suo secondo figlio quando uccisero il marito, non vide mai il pericolo nel suo agire, nel suo bisogno di legalità. Anzi, avvertiva attorno a sé una profonda stima per come era riuscito a porre fine a comportamenti vessatori finanche nei confronti di alcuni rappresentanti della polizia penitenziaria.
Il suo è stato un esempio di liberazione e resistenza che oggi, e da più parti, viene ampiamente riconosciuto.
IL RICORDO DELLA MOGLIE TIZIANA
«La memoria che vive – continua Tiziana Palazzo – è l’unica memoria che abbia un senso. Mio marito – e voglio sottolinearlo – non è mai stato un direttore duro, un funzionario che applicava il pugno di ferro. Non era così, non è mai stato così. Essere rispettosi delle regole, al contrario, per lui significava essere attenti a quei detenuti che per situazioni avverse della vita si erano ritrovati a delinquere. Quanto riportato da alcuni organi di stampa ha sempre contrastato fortemente con l’indole di Sergio che era una persona dotata di grande sensibilità e nutriva un profondo rispetto per ogni essere umano».
COSMAI HA LASCIATO UNA EREDITÀ IMPORTANTE
Cosmai era un giovane appassionato del suo lavoro, mandato in un carcere difficile in anni molto difficili per la città dei Bruzi, con tutto il suo bagaglio di conoscenze per ripristinare la legalità ed é caduto sul campo mentre cercava di arginare la tracotanza dei giovani boss che volevano dettare le loro leggi. Ha resistito Cosmai, fino alla fine, lasciando dietro di sé un’eredità importante che ci accompagna ancora oggi.
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