Intellettuali schierati per la guerra, Galimberti in tv contro la pace “che intorpidisce”. Scurati invoca “lo spirito combattivo” dell’Europa
A Strasburgo l’Unione europea corre spedita incontro al riarmo dopo 80 anni di pace, in Italia emergono (o ri-emergono) gli intellettuali che spingono per una presunta necessità di prepararsi alla guerra. Come se non fossero già sufficienti i politici che sostengono senza alcuna crisi di coscienza il piano Re-Arm Europe di Ursula Von der Leyen, sui media spuntano scrittori e pensatori che con toni apocalittici proclamano l’urgenza di mettere l’elmetto. Niente di troppo nuovo sotto il sole: già dopo l’invasione russa dell’Ucraina i discorsi a favore della resistenza armata hanno riempito lo spazio pubblico, ma ora fanno ancora più impressione perché arrivano a tre anni dallo scoppio del conflitto e quando mai come adesso si è stati così vicini a una pace. E soprattutto quando a voler spendere 800 miliardi di euro in armi è l’Unione europea.
L’ultimo a prendere la parole è stato il filosofo e psicoanalista Umberto Galimberti che, su La7, ha usato frasi come: “Io guardo i pacifisti con sospetto” perché “la pace intorpidisce” o “le armi devono esserci come deterrenza”. L’intervistatore Corrado Augias ha cercato di arginare la deriva bellicista: “È terribile quello che dice. Lei è un uomo di riflessione, di pace, uno studioso. Sta dicendo delle cose su cui ci sarà un forte dissenso. Le sue parole sono esplosive“. Suonava come un augurio, eppure il dibattito pubblico atrofizzato quasi non si è accorto di quelle parole. Come è successo una settimana prima quando lo scrittore Antonio Scurati su Repubblica ha parlato della “principale carenza europea”, ovvero “la mancanza di guerrieri”. E si è auspicato che l’Ue “ritrovi lo spirito combattivo” e “il senso della lotta”. Dichiarazioni dirompenti che dovrebbero aprire lunghe discussioni, ma di cui per il momento rimane traccia solo sui social network e nei post di chi osa contestarle: ad esempio, le scrittrici Loredana Liperrini, Ida Dominjanni e Lea Melandri. Per il resto, regna il silenzio. Un dibattito confinato a Facebook, escluso dalla sfera mediatica, e che mostra le lacerazioni profonde di quel campo che ora viene convocato a manifestare nella Piazza per l’Europa di Michele Serra, senza avere ancora capito se sarà solo per la pace o anche un po’ (o senza un po’) per le armi.
Galimberti: “Oggi il criterio è la forza”. E rilancia Scurati sulla “mancanza di guerrieri” – Il dialogo andato in onda su La7 a “La torre di babele” lunedì 10 marzo è la fotografia esemplare del clima che si respira (almeno nel mondo politico e mediatico). Galimberti è intervenuto per parlare di quello che sta succedendo a livello internazionale. E con toni decisi ha condannato ogni possibile trattativa: “Così la pace diventa la panacea per coprire l’orrore di chiamare quella che si deve chiamare resa”, ha detto. Augias, quasi in imbarazzo, ha cercato di raddrizzare la discussione: “Lei non sarà per caso in favore della guerra“?, ha detto pensando di fare un assist. “No. Ma sono assolutamente a favore di un armamento che ci consenta di spenderci in una sorta di deterrenza”, ha ribattuto Galimberti. E ancora Augias, cercando di mediare e di riportarlo su una sorta di difesa necessaria: “Insomma si vis pacem, para bellum” (se vuoi la pace, prepara la guerra ndr). Assolutamente no, ha rilanciato lo scrittore. “Neanche così. Le armi devono esserci come deterrenza“. Allora Augias si è appellato al libro “L’etica del viandante” di Galimberti, cercando di deviare i discorsi bellici. L’intervistato però, ha insistito: “Oggi il criterio della relazione fra gli stati è la forza. Questa forza è stata inaugurata in maniera esplicita da Trump. Di fronte alla forza che diplomazia puoi mettere in gioco? Era possibile mettere Hitler a un tavolo per discutere? I dittatori non capiscono altro linguaggio che non sia la forza”.
Quando ormai sembrava superato qualsiasi limite, Augias ha cercato di far parlare la sua esperienza personale: “Lei ha davanti a sé un testimone vivente, bambino sia chiaro, di che cosa è la guerra. La fame, le macerie, i bombardamenti, i morti tirati fuori dalle case, gli occupanti che girano con il mitra pronti a sparare a chiunque”. E Galimberti? Ne ha approfittato per fare un paragone impietoso tra le generazioni: “Siccome è la terza generazione che non ha visto la guerra non ha la più pallida idea di cosa sia”. E “non c’è dubbio che con la pace si diventa migliori. Però, si diventa anche imbelli. Se la Russia avesse attaccato l’Italia i nostri giovani avrebbero avuto la stessa capacità di reazione degli ucraini? Penso di no”. E qui una delle frasi più nette pronunciate da Galimberti: “La pace intorpidisce anche la dimensione guerriera, intesa in senso nobile, di difendere la tua terra e tuoi diritti. La democrazia non si difende solo in piazza, va difesa anche contro coloro che tentano di sopprimerla come Trump vuole e come Putin. La difendi accrescendo il tuo livello di forza per poter competere con quelli che capiscono solo la forza”. A quel punto, ad Augias, non è restato che ammettere: “È terribile quello che dice”.
Ma anche stavolta, la dichiarazione a favore della guerra non fa più di tanto rumore. Come non lo ha fatto quando è uscito il lungo articolo a firma Scurati, il 4 marzo scorso, quando su Repubblica ha deciso di parlare della mancanza di guerrieri in Europa. “Mi riferisco”, ha scritto, “alla svanita combattività di popoli da otto decenni pacificati, demograficamente invecchiati e profondamente gentrificati. Per fare la guerra, anche soltanto una guerra difensiva, c’è bisogno di armi adeguate ma resta, ostinato, intrattabile, terribile, anche il bisogno di giovani uomini (e di donne, se volete) capaci, pronti e disposti ad usarle”. Lo scrittore e autore di “M, il figlio del secolo” è andato oltre: non solo armarsi, ma prepararsi a combattere. Fino a concludere: “Il pacifismo è stata una rivoluzione culturale, e va meditato, rispettato ma non potrà mai diventare una piattaforma politica”, ha detto. “L’imminente ottantesimo anniversario della Liberazione dal nazifascismo dovrebbe essere un passaggio cruciale affinché l’Europa ritrovi lo spirito combattivo e, con esso, il senso della lotta. Fummo allora, noi europei d’occidente, per l’ultima volta guerrieri. La Resistenza antifascista ci ricorda perché ripudiammo la guerra ma ci insegna anche le ragioni per prepararci, se necessario, a combatterla”.
Ma c’è anche chi protesta – A quelle parole “esplosive”, non è seguito per il momento alcun dibattito pubblico. Ma c’è chi ha iniziato a sollevare perplessità. Il Fatto quotidiano lo fa da sempre (e tra le altre cose con la rubrica “vedove di guerra”). In rete si è schierata la scrittrice femminsita Lea Melandri: “La virilità guerriera, dopo aver sedotto Michele Serra, Antonio Scurati, e sicuramente altri meno noti” ora “è la volta di Umberto Galimberti”, ha scritto, “che sentenzia, con grande sicumera, che la generazione che non ha conosciuto la guerra si è infiacchita e non sarebbe più in grado di difendere il proprio paese con le armi. E per rendere più chiara la sua posizione aggiunge che alla forza si risponde con la forza. Più chiaro di così”. Una situazione di “grigiore belligerante“, ha scritto nel suo post.
Pochi giorni prima aveva preso la parola, sempre su Facebook, la scrittrice e voce di Radio3 Loredana Lipperini: “Sono profondamente turbata dall’articolo di Scurati”, scriveva. “Si dirà che tornare a essere guerrieri è una necessità: ma io a questa necessità non credo e non voglio credere, e forse se non ci crediamo possiamo fare qualcosa per evitarla, e personalmente sono felice che non ci siano uomini e donne, ora, in Europa, disposti a uccidere e morire”. E ancora: “Si dirà che la parola pacifismo è insensata: non sono disposta a credere neanche a questo, né a sentirmi rigettare nell’orda indistinta dei putiniani”. Su Facebook è intervenuta anche la scrittrice e filosofa femminista Ida Dominijanni: “I Rep boys sono in grande spolvero”, ha scritto. “Dopo Serra, Scurati. Dopo Scurati, Giannini che emette una bolla contro Schlein rea di tradire l’europeismo per avere osato eccepire qualcosa contro il demenziale piano Ursula”. E pure: “Giornali a parte, tutto l’”armiamoci” di Ursula e della classe dirigente europea si basa sul presupposto che Putin è pronto a invaderci” e “sono disposta a cambiare idea, a patto che mi si dia una, una sola prova che questa dell’invasione russa dell’Europa sia un’eventualità realistica. Ce l’hanno qualche straccio di prova?”. In attesa di una risposta e in attesa che le dichiarazioni di guerra degli intellettuali provochino reazioni “esplosive”, ci sono le parole della giornalista russa Anna Politkovskaja che, nell’ultima intervista prima di essere uccisa, disse: “Non bevo, non fumo e non amo l’adrenalina. I giornalisti maschi qualche volta giocano alla guerra. Io la odio. È orrenda“.
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