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Francesco Piccolo: «Sono diventato scrittore per ribellarmi a un certo tipo di mascolinità, poi ho scoperto che non è possibile: scrivere ti può far capire chi sei ma non è una terapia»

Chi ama e segue Francesco Piccolo sa bene della sua ossessione per la mascolinità tossica. Da cui lo scrittore prende, sì, le distanze ma, nello stesso tempo, riconosce sé stesso come parte del sistema che vuole combattere, in un processo molto più difficile da sradicare di quanto non sembri. E così, dopo aver vinto il premio Strega con Il desiderio di essere come tutti e aver iniziato ad analizzare la componente brutale e animalesca del maschio in saggi bellissimi come L’animale che mi porto dentro, eccolo rendicontare le caratteristiche più meschine e infime degli uomini che hanno abitato la letteratura in Son qui: m’ammazzi, la nuova fatica pubblicata, come le altre, da Einaudi, nella quale Francesco Piccolo passa in rassegna personaggi come l’Orlando Furioso, il Don Rodrigo dei Promessi Sposi e il Principe di Salina del Gattopardo evidenziandone le miserie e le piccolezze. Ci sentiamo il giorno dopo la prima a Roma del suo spettacolo teatrale Il Gattopardo – Una storia incredibile, ed è impossibile non partire da questa ossessione per un’opera che, da La bella confusione in poi, continua a invadere le sue produzioni.

Come mai le interessa così tanto Il Gattopardo?
«Come scrivo ne La bella confusione, Il Gattopardo è stato il libro iniziatore della mia vita letteraria: riscoprirlo per la scrittura del mio saggio mi ha acceso tantissime cose di cui prima non mi ero accorto, come la mascolinità di Don Fabrizio e il suo desiderio di Angelica, che è un elemento del libro molto sfumato, un po’ tra le righe. Penso di avergli voluto dedicare un capitolo di Son qui: m’ammazzi proprio per questo».

Sessantadue anni dopo il film-capolavoro di Luchino Visconti, sta per arrivare su Netflix una miniserie del Gattopardo: i classici sono intoccabili?
«Al contrario: i classici sono classici proprio perché non sono intoccabili, perché parlano a un tempo lontano e continuano a parlare al tempo di oggi. I classici sono facilmente maneggiabili e credo che, resistendo al passare dei decenni, se ne possa fare di tutto. Basta pensare alle molte versioni dei classici che vediamo a teatro: provare a toccarli e a trasformarli e a farne qualcos’altro credo che sia totalmente legittimo».

Su Repubblica Natalia Aspesi scrive che non guarderà la serie perché Concetta non ha più i baffi: lei la guarderà?
«Natalia Aspesi lo ha detto evidentemente in maniera ironica, ma penso che sia stato coraggioso imbarcarsi in una sfida di questo tipo, e lo vedrò senz’altro. Vorrei, però, anche aggiungere che Concetta era semplicemente più brutta di Angelica, ma non brutta in senso stretto».

Partendo dal nuovo Gattopardo ma anche dagli ultimi film della Disney, qualcuno pensa che oggi il maschio eterosessuale sia diventato un nemico: pensa che sia il riflesso dei tempi?
«Ho scritto questo libro proprio per raccontare il mio tentativo di aggiustare le cose, ma è ovvio che non sia sufficiente. È vero che sarebbe più bello un mondo giusto, ma penso che sia più stimolante acquisire consapevolezza di ciò che possiamo migliorare in questi tempi. Questa storia del maschile è così radicata che non potremmo mai svegliarci un giorno e dire che il mondo è cambiato: è vero, certe cose che pensavamo ieri non le pensiamo più, e certi comportamenti che ci erano propri ora non lo sono più, ma la verità è che il cambiamento è enorme. Soprattutto per chi ha detenuto per secoli il dominio, il potere, la forza e la dominanza. Rinunciare a questo non è una cosa che si fa da un giorno all’altro: io tento, in questo libro, di raccontare solo il cammino di questo maschio nella letteratura».

Francesco Piccolo «Sono diventato scrittore per ribellarmi a un certo tipo di mascolinità poi ho scoperto che non è...

Infatti lei prende atto della condizione maschile senza parlare di cambiamento.
«Penso che gli scrittori debbano fare domande e non dare risposte, che debbano dare enigmi e non soluzioni. È un problema che non mi pongo».

Questo enigma sulla mascolinità è diventato ormai parte integrante della sua produzione: quand’è che questo tarlo le è entrato dentro?
«Evidentemente dal giorno della mia nascita. L’animale è frutto di un mondo culturale ancestrale e, proprio per questo, non puoi liberartene. Personalmente ho creduto che ci sarei riuscito facendo lo scrittore: forse sono diventato uno scrittore proprio per ribellarmi a quel maschile lì, solo che poi ho scoperto che non è possibile».

E cosa le ha reso possibile la scrittura?
«Riuscire a vedere cosa sono e cos’è il maschile in tutte le sue caratteristiche. E questo apre a un confronto. Molti pensano che scrivere un libro sia una terapia, ma la verità è che questa terapia non funziona per niente. Il libro lo finisci, ma tu rimani tale e quale a prima: semmai il libro può riuscire a portare il lettore da qualche altra parte, ma non tu che lo scrivi».


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