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“Con l’Europa il conflitto è perso. Trump usa le buone per convincere Putin” – Il Tempo


Edoardo Sirignano

«Come si poteva vincere con i famosi carri armati di Mussolini o con quattro ferraglie vecchie. Il problema, però, non è di chi non ha mandato i soldati al fronte, cosa che non è riuscita neanche a Zelensky, la cui guerra non è stata capita dal suo stesso popolo, considerando che i suoi giovani sono in fuga, ma di un’Europa impotente che non è stata in grado né di sedersi al tavolo con Putin per intavolare una trattativa, né di imporre una strategia comune». A dirlo Edward Luttwak, noto politologo statunitense.

Quale è il piano del Tycoon per fermare il conflitto in Ucraina?
«La tattica di Trump è essere gentilissimo con Putin, in modo che possa fare un accordo di pace, senza apparire debole. Se, invece, si continua a prenderlo a sberle, è chiaro che ciò non potrà mai accadere. Non dimentichiamo che Biden lo aveva insultato, chiamandolo “carogna”, “aggressore” e “criminale”. Come trovare un’intesa con chi ti definisce in tale modo? Il presidente russo, pur utilizzando metodi dittatoriali, vuole essere sempre votato e amato dal suo popolo».

Quella di Donald, dunque, è una tattica di negoziato?
«Parla bene della Russia, come quella che ha combattuto Hitler e Napoleone, in modo che chi è a Mosca possa lavorare per la pace in un contesto non ostile. Non c’è mo da spiegare. Non dimentichiamo che il primo inquilino della Casa Bianca nella vita si è distinto per una sola caratteristica: comprare e vendere. Quando vuoi acquistare qualcosa al prezzo più basso possibile devi fare qualcosa perché l’altro abbia una ragione per giustificare lo sconto. Insomma, si sta preparando il terreno per una soluzione diplomatica che non passa certamente per un Putin fatto passare come l’ultimo dei poveracci. Il vero problema è che di tutta questa strategia in Europa non ci hanno capito niente».

 

 

Perché?
«Bisogna dare qualcosa ai russi o minacciarli pesantemente. Non ci sarebbe stato nulla di strano, ad esempio, se qualcuno avesse proposto un Nobel per Putin. Anzi, sarebbe stata una mossa intelligente».

Come si sarebbe dovuto comportare l’esecutivo guidato da von der Leyen?
«Chi non manda soldati all’Ucraina per farle vincere la guerra significa che non ha attributi. Se si continua a mandare ferraglia vecchia a Kiev, questo conflitto rischia di trasformarsi nella “storia infinita”».

Che idea si è fatto, invece, rispetto all’atteggiamento di Zelensky?
«Si è comportato come un manager che ha fallito. Non ha saputo fare la cosa più semplice in una guerra: mobilitare la popolazione. Il vero problema di questo conflitto è la mancanza di truppe al fronte. Solo il 5% degli ucraini va a combattere. È chiaro che se tu dici a un diciottenne che quando avrà spento la sua 27esima candelina richierà di prendersi una pallottola questo scapperà in Germania o troverà qualsiasi escamotage per svignarsela. La differenza tra Ucraina e Israele è che quando Netanyahu ha fatto il primo appello al suo popolo si sono presentati 360mila volontari, mentre nel giro di qualche giorno è arrivata gente da tutto il mondo, compreso tanti californiani che hanno lasciato le loro ville».

Cosa poteva fare l’Europa?
«Mandare uomini e donne a combattere. Non dimentichiamo che tra i Mille di Garibaldi c’erano soldati di altri Paesi. In un’Europa vera è chiaro che se qualcuno combatte per la propria libertà, ognuno dovrebbe dare un contributo. Altrimenti tutte le chiacchiere di solidarietà non hanno senso».

Sono stati, intanto, inviati per mesi armamenti…
«Mi faccia il piacere. Se la Francia manda qualche missile per testarlo e l’Italia ha spedito qualche vecchio carro armato o delle mitragliatrici arrugginite, certamente non si può vincere».

Chi è il colpevole di tutto ciò?
«Se esisteva una vera Europa, ci sarebbe stata la fila per arruolarsi. La verità è che non abbiamo una comunità politicamente integrata. Abbiamo solo quattro burocrati che esigono di essere interpellati su ogni cosa, ma che non sono stati eletti e dunque rappresentano il nulla. C’è una mancanza di autorità. Ecco perché ogni Stato, alla fine, fa il proprio comodo».


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