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La partita d’Israele: riavere i rapiti e cacciare Hamas


La partita d'Israele: riavere i rapiti e cacciare Hamas

Vento gelato a Gaza, confusione, sentimenti estremi, uno dei rapiti, Omer, che mentre lo riconsegnano, costretto (ha raccontato) bacia la testa di uno dei boia che lo hanno seviziato per più di 500 giorni. Tutte le lacrime per la barbarica vicenda di Kfir, Ariel e Shiri sono rimaste sospese sulla giornata di gioia per la liberazione più larga che Israele abbia visto fino ad oggi; Hamas ha giocato troppo duro coi sentimenti di tutta Israele, ha messo alla prova l’accordo, probabilmente ha così segnato un autogol sul significato della seconda fase; intanto l’assedio terrorista si è mostrato anche nell’esplosione di tre autobus nel centro di Israele che solo per caso non ha portato a una strage. Il senso di emergenza e la furia per la tragedia del corpo di Shiri e dei piccoli, si mescola con la tenerezza agro dolce per i rapiti martoriati per 500 giorni, ritornati nelle braccia dei loro cari: il senso comune dice ormai che così non si può andare avanti, che la seconda fase impone anche una decisione.

Tutte le frecce sono puntate su Netanyahu e indicano due strade diverse: chi spinge per rompere il ricatto e l’emorragia di terroristi liberati e pensa che dopo la consegna di tutti i rapiti, che deve essere imposta subito, sia venuto il tempo in cui si devono «aprire le porte dell’inferno»; anche Trump la pensa così. Dall’altra parte il grande movimento che fiancheggia in Israele le famiglie dei rapiti ripropone l’apertura immediata della seconda fase, che in cambio dei rapiti prevede la fine delle ostilità, e quindi di fatto il permanere del potere di Hamas a Gaza almeno per il momento. Il punto è tutto qui. Che cosa deve trattare la delegazione israeliana al Cairo? Che cosa i colloqui americani coi maggiori esperti mediorientali, fra cui Witkoff, plenipotenziario della trattativa, cui partecipa il ministro per gli affari strategici Ron Dermer direttamente incaricato da Netanyahu? Sicuramente si tratta di colloqui onnicomprensivi che disegnano la fine dell’assedio terrorista in Medioriente, compartecipazione dei paesi arabi moderati, l’eliminazione del nucleare iraniano. Gaza è solo una delle tessere del mosaico. A Gaza, peraltro, se l’amministrazione Biden aveva imposto infiniti aiuti umanitari e un ritegno nel combattere, Trump dopo la vicenda Bibas ha ripetuto invece per la terza volta che Netanyahu può decidere se vuole di obliterare Hamas. Ma Hamas ha in mano i rapiti, 63 di cui forse la metà vivi, e Israele non li abbandonerà. Dunque, Israele è in una difficile situazione ma con il senso di un forte sostegno. Questo potrebbe sfociare nella ferma richiesta a Hamas di consegnare tutti i rapiti e poi sparire da Gaza, e forse anche dal West Bank, forse con un salvacondotto per il Qatar o l’Egitto, o l’Algeria. Fosse vera questa ipotesi, seguirebbe il piano Trump di ricostruzione in cui gli Usa, come ha detto Trump, sarebbero protagonisti. IL Medioriente è pronto per nuovi Patti di Abramo, pulito, gli Hezbollah sono stati in parte neutralizzati, la Siria non è più l’autostrada per gli armamenti iraniani, gli Houthi tacciono.

L’Iran, forse, indebolito, potrebbe essere in questi giorni l’oggetto dei colloqui più importanti per la conclusione del conflitto anche con Hamas. Certamente, un Medioriente finalmente lontano dall’incubo di un Iran nucleare potrebbe essere più facilmente trasformato in una regione del mondo da cui anche Hamas si può espellere, e ricostruire finalmente Gaza.


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