“Anm? Come gli ayatollah” – Il Tempo
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«Le sentenze credo che si possano anche commentare, soprattutto quelle politiche che peraltro si commentano da sole. Devo dire che è una bella pretesa quella di poter rivendicare più che legittimamente di scioperare contro le nuove leggi, però che nessuno può manco commentare una sentenza. Io credo che esista una sola categoria che rivendichi il diritto di non essere commentato, quella degli ayatollah». Il sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro, molla uno schiaffone all’Anm, che ieri ha scatenato l’assalto politico contro l’esponente di FdI “reo” di aver criticato la sentenza di condanna a 8 mesi per rivelazione del segreto nel caso Cospito, inflitta dal Tribunale di Roma nonostante l’accusa avesse chiesto l’assoluzione.
L’unica colpa di Delmastro è stata dichiarare che «è un dato di fatto che il collegio fosse fortemente connotato dalla presenza di Md», la corrente di sinistra presieduta dalla giudice pro migranti Silvia Albano e che ha al suo interno big come Marco Patarnello, che ha definito Giorgia Meloni più pericolosa di Silvio Berlusconi, il segretario Stefano Musolino, che chiama Il Tempo i bassifondi della comunicazione, Emilio Sirianni, che aiutò nell’inchiesta su Riace l’Avs Mimmo Lucano e che fu bacchettato dal Csm. Insomma Delmastro, come aveva fatto su Alfredo Cospito, ha nuovamente rivelato il segreto di Pulcinella, visto che proprio il presidente dell’ottava sezione che l’ha dichiarato colpevole, Francesco Rugarli, è un giudice la cui appartenenza a Magistratura democratica è certificata dai fatti.
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Rugarli, agli inizi del Duemila, sedeva nel Consiglio direttivo di Md a Napoli, come certifica un’interrogazione parlamentare presentata dal Ds Gianfranco Nappi. In quel frangente si distinse perla solidarietà ai no global che il 17 marzo 2001 scatenarono i tafferugli con la polizia al Global Forum.
All’indomani degli scontri, Rugarli sottoscrisse un documento contro la repressione poliziesca, insieme ad altri colleghi, tra cui il giudice di Md Alfredo Guardiano che dieci anni dopo condannò i poliziotti e assolse i no global. Rugarli, inoltre, era stato tirato in ballo anche in un’interrogazione di Carlo Taormina, nella quale chiedeva al Guardasigilli di accertare le dichiarazioni rilasciate sul quotidiano La Stampa dall’allora gip di Napoli ed ex pm di Mani Pulite, Nicola Quatrano, il quale affermava di aver partecipato alla manifestazione per accompagnare i figli, così come avrebbero fatto altri colleghi, tra cui Rugarli. Insomma, il dubbio che sul collegio aleggiasse l’ombra delle toghe rosse potrebbe pervadere non solo Delmastro.
Senza contare che, seduta accanto a Rugarli per tutto il processo contro il sottosegretario, e sostituita solo il 3 febbraio scorso dalla collega Carmela Foresta “non correntizzata” così come la terza giudice Lucia Bruni, c’era Emilia Conforti, oggi nel direttivo centrale dell’Anm per la corrente di sinistra di AreaDg. E infatti le critiche di Delmastro hanno scatenato le toghe. «Spero ci sia un giudice a Berlino, non mi dimetto», ha detto il sottosegretario, sottolineando che «sono stato eletto anche per riformare la giustizia». L’Anm ribatte: «Per aver un giudice terzo non occorre andare a Berlino». E usala sentenza per la lotta politica: «Per dimostrare l’inutilità della separazione delle carriere, basta osservare la vicenda processuale che si è conclusa con la condanna in primo grado del sottosegretario – la tesi -. Alla richiesta di archiviazione del pm un giudice ha ordinato l’imputazione, ed alla richiesta di assoluzione di un pm il Tribunale ha pronunciato condanna. Questo dimostra, come l’Anm sostiene da sempre, che il pm può chiedere l’assoluzione, nonostante la sua carriera non sia separata da quella del giudice, e che il giudice non è succube del pm».
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Il presidente Cesare Parodi ha definito le «critiche pericolose, c’è rischio di condizionare chi giudica». E la Giunta si è scagliata contro il ministro Carlo Nordio, che si era detto «disorientato ed addolorato» per la condanna, aggiungendo che «confido in una sua radicale riforma in sede di impugnazione». Parole «gravi», per le toghe rosse, «non consone alle funzioni esercitate, in aperta violazione del principio di separazione dei poteri, che minano la fiducia nelle istituzioni democratiche». Quoque tu, verrebbe da dire a coloro i quali sembrano sostituirsi a un altro potere, il Parlamento, perché non vogliono la riforma della giustizia. E pretendono che il Guardasigilli non esterni nemmeno un auspicio.
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