Cresce il consumo di miele, l’apicoltura tricolore raddoppia
Seppur penalizzato da crescenti difficoltà, il settore apistico italiano vanta una grande vitalità. Dal 2016, anno di istituzione dell’anagrafe apistica (Bda, banca dati apistica) ad oggi, gli apicoltori sono cresciuti dell’82% e gli alveari del 39%. Alla fine del 2023 (ultimo censimento disponibile) gli apicoltori erano 75mila, di cui circa 55mila in un contesto familiare e 20mila aziende (con partita Iva). La consistenza degli alveari si attesta a poco più di 1,5 milioni di unità, valore che pone l’Italia al sesto posto in Europa. La produzione annua media – da anno ad anno ci sono forti variazioni a causa del clima – è di 20 mila tonnellate, a cui corrisponde un valore alla produzione di circa 150 milioni di euro (senza contare le vendite dirette).
L’importanza dell’apicoltura non si limita però all’aspetto economico. La crescente attenzione dell’opinione pubblica verso la tutela dell’ambiente ha portato a rivalutare il ruolo svolto dagli impollinatori: essi garantiscono infatti il ciclo vitale di molte specie vegetali, contribuendo direttamente alla biodiversità e alla sicurezza alimentare.
“La centralità degli impollinatori come fattore di equilibrio dei sistemi naturali e agricoli – spiega Milena Verrascina, studiosa presso il centro di ricerca politiche e bioeconomia di Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria) – è, con sempre maggiore evidenza, la ragione di un interesse crescente nei confronti della filiera delle api e del miele. L’allarme globale sulla riduzione drastica e repentina degli impollinatori, per una serie di concause determinate da fattori antropici, inquinamento, mutamenti climatici nel sistema agricolo e naturale, precedentemente di unico interesse del mondo scientifico, negli anni si è amplificato, raggiungendo anche il mondo produttivo e l’opinione pubblica”.
Tra i fattori che minacciano le api ci sono l’innalzamento delle temperature, l’inquinamento ambientale, la modificazione degli habitat naturali e la proliferazione delle vespe. La Vespa Velutina è ormai diventata una minaccia a livello europeo, nonostante sia una specie esotica, mentre la Vespa Orientalis, un calabrone da sempre presente nelle regioni del Sud Italia, si sta espandendo anche verso il Centro e il Settentrione.
“Il settore delle api e del miele ha raggiunto negli ultimi anni valori importanti – prosegue l’esperta di Crea – Una produzione in crescita, sebbene caratterizzata da andamenti altalenanti e soggetti fortemente alle criticità del cambiamento climatico, un crescente numero di alveari, l’alta percentuale (sfiora l’80%) di alveari gestiti da apicoltori professionali, anche in questo caso in crescita, la grande diversificazione e caratterizzazione del prodotto miele che varia lungo tutta la penisola e che permette di parlare di mieli più che di miele italiano. Negli ultimi anni, inoltre, si sta assistendo a una evoluzione positiva della conduzione imprenditoriale all’insegna della diversificazione produttiva con una specializzazione anche in altre tipologie di produzioni dell’alveare (differenze nelle varietà di mieli, regine, polline, pappa reale, propoli, cera) e nei servizi erogati, in primis quello legato all’impollinazione”.
Le regioni con la maggior presenza di apicoltori sono il Veneto e la Lombardia, che raggiungono le 9mila unità, seguite da Piemonte e Toscana, che si attestano sulle 7mila, e dall’Emilia Romagna (6mila). A quota 5mila si trovano infine la Provincia autonoma di Bolzano, l’Umbria e il Lazio. Gli equilibri cambiano però se si contano gli alveari. In questo caso spicca in solitaria il Piemonte con più di 200mila, seguito da Lombardia (160mila), Calabria (146mila), Sicilia (142mila), Emilia Romagna (125mila), Toscana (120mila) e Veneto (100mila).
Secondo i due censimenti realizzati dall’Istat (nel 2010 e nel 2020) gli aumenti più significativi per quanto riguarda gli alveari hanno interessato soprattutto le Marche (+179%), la Puglia (+167%) e la Calabria (+143%). Guardando invece al numero di aziende spiccano i progressi dell’Umbria (+568%), della Provincia autonoma di Trento (+393%), della Puglia (+ 363%), del Veneto (+362%) e del Lazio (+343%).

Nonostante l’aumento della produzione avvenuta nell’ultimo decennio, l’Italia deve comunque far ricorso alle importazioni per coprire circa il 50% del consumo nazionale. Nel 2022 il saldo commerciale ha mostrato un rosso di 74,5 milioni di euro. Le importazioni italiane, dopo un calo negli anni 2019 e 2020, sono tornate a crescere sia nel 2021, quando si era registrato un deciso calo produttivo, che nel 2022, quando hanno raggiunto le 26.500 tonnellate. In termini di valore le importazioni erano di 100 milioni di euro nel 2022, il dato di gran lunga più elevato degli ultimi vent’anni. Il principale fornitore, in termini di volume, è l’Ungheria con una quota del 26%, seguita da Romania (11%) e Spagna con il 6%. Il valore medio del miele importato dall’Italia è stato di 3,8 euro per chilogrammo.
Per quel che riguarda invece le esportazioni, l’Italia nel 2022 ha venduto 5.711 tonnellate di miele all’estero (-32,4% rispetto all’anno precedente), corrispondenti ad un valore di 26,3 milioni di euro, anch’esso in diminuzione (-15,5%) rispetto al 2021. Il principale mercato di destinazione del miele italiano è l’Irlanda, con una quota del 30% sul totale, mentre al secondo posto troviamo la Germania (storico mercato di sbocco italiano), con un peso del 16%.
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