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Paragon, in campo ci sono quattro schieramenti ma manca qualcuno all’appello

Quella di Paragon è una partita difficile da capire più di quanto sia stato difficile giocarla. Quasi le squadre fossero rientrate negli spogliatoi, a guardar bene l’interno di questo immaginario stadio, ci si accorge che in campo ci sono ben quattro schieramenti: le sventurate vittime, il produttore del micidiale “Graphite”, gli utilizzatori di questa soluzione tecnologica, il sistema di messaggistica istantanea le cui falle hanno permesso l’insinuazione di istruzioni maligne negli smartphone presi di mira.

E’ comprensibile il dolore, il fastidio e l’ansia dei “bersagli”, che in realtà non sanno cosa davvero possa essere accaduto nella loro esistenza quando l’angelo della morte chiamato Graphite si è accomodato nel loro smartphone. Si arriva all’assurdo di augurarsi di esser stati soltanto spiati e non sostituiti in contatti e relazioni con amici, conoscenti e interlocutori abituali e occasionali.

Sugli spalti è fin troppo scontato il disgusto della non affollata schiera di cittadini gelosi dei rispettivi diritti civili e fautori della tutela delle garanzie che la Costituzione (salvo modifiche recenti non ancora percepite ma da molti anticipatamente recepite o almeno auspicate) ha o dovrebbe aver inciso in ciascun italiano. Nonostante chi crede preghi il Signore e chi è senza fede esprima le sue speranze in modo laico, il miracolo che porti tutti in tempi di maggior lealtà e più rigoroso senso dello Stato è difficile che si avveri.

Si assiste a patetiche scene da “schiaffo del soldato”, dove – dopo il ceffone a chi è girato di spalle – ci sono tre persone che ruotano il dito per aria fingendo indifferenza. Il primo soggetto è incarnato dalla azienda israeliana naturalizzata nordamericana che ha creato e commercializza l’acuminato software. Sentita la puzza di bruciato, la società si è affrettata a lamentare un uso del proprio prodotto difforme dalle condizioni di utilizzo pattuite. Sono in gioco significativi interessi economici che rischiano di venir meno se la soluzione tecnologica perde l’esclusività originaria di strumento impiegabile ai soli fini istituzionali nel rispetto di leggi e regole etiche. Il secondo attore in scena è il cliente, che lamenta una curiosità incontenibile del fornitore che avrebbe ficcato il naso negli immaginari faldoni frutto di “intercettazioni” e raccolte eseguite nel riserbo che caratterizza la Sicurezza Nazionale. Numero tre? Naturalmente Meta Inc., la società di Mark Zuckerberg (che controlla anche Facebook e Instagram) che per una falla di WhatsApp ha offerto un passaggio a chi voleva piazzare Graphite sugli smartphone di persone invise o quanto meno scomode al punto da meritare cotante attenzioni. Meta ha già fatto causa a Paragon per aver sfruttato una vulnerabilità “zero-day” e trasformato WhatsApp in vettore di infezione informatica…

L’incontrollabilità di certi pericolosissimi software e la costellazione di reati commossi inducono a guardar bene questo caotico palcoscenico e subito sembra mancare qualcuno. In effetti si ha l’impressione che a dover dare segni di vita siano l’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale, l’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali, l’Autorità Giudiziaria per – come si è soliti scrivere in denunce e querele – “ogni altro reato che si intenda ravvisare”.

In attesa di ulteriori sorprese, fermiamoci qui. Come nelle Fiabe Sonore della “Fabbri”, “a mille ce n’è” e ne vedremo delle belle. Proprio come in quella canzoncina, “basta un po’ di fantasia e di bontà”.


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