Benedetta Cimatti: «Per Rachele Guidi, moglie di Mussolini, ho provato rabbia, ma ora grido ancora più forte il mio rifiuto per gli uomini che ci vedono solo come mogli e madri»
Nelle narrazioni cinematografiche riguardanti la vita di Benito Mussolini, c’è sempre stata una figura che è rimasta sullo sfondo, nominata magari in qualche battuta o ripresa, per pochi minuti, in qualche sequenza: Rachele Guidi, sua moglie. In M – Il figlio del secolo, disponibile su Sky e NOW, di Joe Wright, invece, diventa una figura femminile chiave, quella che fa da contraltare a Margherita Sarfatti: una dimessa, ignorante, dedicata completamente alla cura della famiglia, l’altra libera, emancipata e colta. Ma entrambe schiacciate, usate dall’ambizione e dal maschilismo dell’uomo che hanno accanto: il Mussolini che deve ancora diventare duce. A interpretare Donna Rachele, a darle forza e vigore quando prova a ribellarsi ai soprusi del marito o ad annuire in silenzio sconfitta, c’è Benedetta Cimatti che, con questo ruolo, si è ritrovata a fare i conti con il pregiudizio, la rabbia e, infine, la pena. Portarla in scena, però, ha significato non giudicarla, anzi sforzarsi di capire qualcuno con cui si è condiviso un pezzo importante di vita per qualche mese.
Benedetta Cimatti in M – Il figlio del secolo
Per il regime fascista, Rachele Guidi è l’emblema di come dovrebbe essere una donna: angelo del focolare e subalterna in tutto all’uomo. Come ci si approccia a una figura simile?
«In punta di piedi e sforzandosi di capire le sue fragilità, difficoltà e sfumature emotive, da donna a donna. Ho dovuto lasciare da parte il pregiudizio che avevo non solo nel raccontare questo periodo storico, una figura come quella di Mussolini, ma anche quella di una figura femminile di questo tipo. È stato un lavoro difficile, impegnativo, durante il quale ho attraversato diverse fasi».
Quali?
«Prima la rabbia perché mi dicevo “ma come è possibile che una donna abbia voluto sopportare tutto questo?”. Poi c’è stata una grande pena e, infine, tantissima tristezza perché stiamo parlando di una vittima di un uomo dal narcisismo patologico che ha questo costante bisogno di sentirsi riconosciuto, desiderato e che considera le donne come qualcosa di sua proprietà, di cui disporre a suo piacimento. Tutte le sue donne sono vittime: le incanta e poi le respinge. E, inquadrando questo comportamento in un contesto più ampio, arriva a relegarle in una posizione sociale di inferiorità, privandole dell’uguaglianza politica e istituzionale».
Le conseguenze di com’era vista la donna all’epoca arrivano ancora ai giorni nostri, nonostante tutte le conquiste ottenute negli anni successivi.
«È una verità agghiacciante, ma purtroppo è così. Ci ritroviamo a fare i conti ancora con un’ambivalenza che ci costringe in due ruoli: o sei madre, moglie, devota alla tua famiglia oppure – mi passi il termine – una puttana. Scontiamo ancora questo tipo di visione, di disparità, di dover in qualche modo essere ancillari all’uomo. Sa quante volte nelle interviste mi dicono: “come ci si sente a essere la moglie di, la sorella di, l’amica di…?”. Ecco, sempre legata a qualche uomo».
E lei come reagisce?
«Provando una profonda stanchezza. La stessa che hanno le mie amiche che lavorano in ambiti totalmente differenti dal mio, ma vivono le stesse dinamiche. Perché è vero: abbiamo conquistato tantissimo in termini di diritti sociali e politici, ma poi ti scontri con la realtà di certi uomini che continuano ad avere sempre la stessa visione della donna. È qualcosa che mi fa molto soffrire perché quelli a cui tocca cambiare adesso sono gli uomini: sono loro che devono progredire e andare avanti».
Dopo questo ruolo, crede di aver maturato qualche consapevolezza in più riguardo questi temi?
«Sinceramente, è cresciuto ancora di più il mio rifiuto verso questa immagine della donna solo moglie e madre. Non dobbiamo più farcela andare bene, dobbiamo rifiutare certe situazioni, gridare no. Credo che, in questo senso, questo ruolo mi abbia fatto rinascere: è arrivato in un momento particolare della mia vita che, però, mi ha fatto guadagnare una sensibilità diversa, più consapevole».
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