Il 5G europeo parla ancora cinese
Cinque anni dopo che l’Europa si è dotata di una strategia per mettere in sicurezza le reti 5G, limitando o escludendo i fornitori “ad alto rischio”, buona parte delle comunicazioni mobili degli europei passa ancora dagli apparati made in China di Huawei e Zte. Resta cinese, in una media tra i Paesi Ue, il 34% delle reti di accesso radio (Ran), le antenne a cui si agganciano i telefoni degli utenti. Una percentuale che, rivela un report di Strand Consult con dati aggiornati a fine 2024, è rimasta costante negli ultimi due anni. In Italia invece è scesa, segno che i paletti messi del Golden Power hanno una certa efficacia. Partivamo però da una quota molto alta, il 51%, e ora siamo al 35: in linea con la media.
La cassetta degli attrezzi europea
Quello sulla sicurezza delle reti 5G, dove la Cina si è assicurata una posizione dominante, è un dibattito annoso. Fu Trump durante la sua prima presidenza a lanciare l’assalto a Huawei, simbolo dell’ascesa tecnologica cinese e dei rischi per l’Occidente, facendo pressione sugli alleati perché la bandissero. Dopo grandi dibattiti tra chi, pur senza pistola fumante, temeva che la Cina potesse usare i dispositivi Huawei o Zte per spiare e sabotare, e chi invece li difendeva come la migliore opzione per qualità e prezzo, Bruxelles ha lasciato libertà ai vari Paesi. Dotandoli però di una “cassetta degli attrezzi” per mitigare i rischi.
Governi in ordine sparso
Da allora i governi sono andati in ordine sparso, a seconda della convenienza dei loro operatori telefonici ma anche della vicinanza politica a Washington o Pechino. E nonostante un duro richiamo della Commissione ai Paesi a fare di più, a metà del 2023, i numeri mostrano che poco è cambiato. Quasi tutti hanno escluso le aziende cinesi dal nucleo “più intelligente” della rete, pochi hanno fatto calare la (costosa) tagliola del bando sul resto dell’infrastruttura. Molti hanno puntato piuttosto a una graduale sostituzione, spingendo le società della telefonia a diversificare i fornitori, mentre singoli operatori hanno deciso per vari motivi di comprare europeo (Ericsson e Nokia). In Germania però, economia legata a doppio filo con la Cina e principale mercato telefonico europeo, l’incidenza di Huawei e Zte è stabile al 59%, in altri cinque Paesi sopra il 50%. In Austria, Olanda, Grecia e nell’Ungheria di Orban, vicino agli autocrati Xi e Putin, è addirittura aumentata.
L’Italia torna nella media
Dal 2019 l’Italia ha affidato la sicurezza del 5G al Golden Power, con cui il governo vaglia i piani di acquisto delle società telefoniche e impone prescrizioni. Nel frattempo Tim ha deciso di non comprare più cinese, Iliad non lo ha mai fatto, mentre nella rete Vodafone resta alta l’incidenza di antenne Huawei, specie al Centro e al Sud, e in quella di Wind Tre di apparati Zte. La riduzione complessiva ci ha riportato in media. E in media, nelle proiezioni di Strand, dovremmo restare nel 2028, scendendo come l’intera Ue al 28%.
Soglia di sicurezza
Sufficiente? Definire una soglia di sicurezza è difficile, se non impossibile. Di certo c’è chi, come la Germania, fa peggio, anche se a differenza nostra Berlino ha fissato una data per l’eliminazione totale, nel lontano 2029. Resta da capire se la Commissione, vista l’inerzia generale, tornerà a farsi sentire, o se lo farà il redivivissimo Trump. Oggi la percezione del rischio di “dipendere” dalla Cina è cresciuta a dismisura, dalle batterie ai chip, mentre Musk ha spostato il dibattito sulle connessioni satellitari di domani (con dubbi per la sicurezza europea non così diversi). Di 5G si parla meno, ma resta un’infrastruttura chiave.
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