Nomi noti, dubbi di socialisti e Le Pen. E il governo Bayrou nasce già in crisi
Da ieri la Francia ha un nuovo governo: simile a un «Barnier bis» e nel paradosso che il neo premier Bayrou non ha alcuna garanzia di durare. Lista ufficializzata dall’Eliseo. E più in ragione della promessa di avere una squadra operativa «prima di Natale» che non unita da un programma comune. Ci si aspettava un «dream team». Invece molti ministri dimissionari dello sfiduciato Barnier semplicemente cambiano casella. Come se niente fosse accaduto.
Sui social, la Francia è in fiamme. E non solo perché aspettare venti giorni per un copia e incolla di un progetto fallito per mancanza di copertura parlamentare ha un effetto straniante sugli elettori. Ma anche perché, oltre a semplici spostamenti, il casting ha attinto a profili particolarmente divisivi. C’è infatti il ritorno di due ex premier. Elisabeth Borne, la tecnocrate macroniana artefice della forzatura sulle pensioni, già soprannominata «madame 49.3»; l’articolo della Costituzione a cui ha fatto ricorso per bypassare il Parlamento e varare la riforma. Bayrou l’ha chiamata a guidare Educazione nazionale e Ricerca per coprirsi un po’ a sinistra, ma finora senza scaldare la gauche. Poi Manuel Valls, altro ex inquilino di Matignon, già socialista sotto Hollande, oggi battitore libero. A lui va la delega a quei Territori d’Oltremare, risaliti nella gerarchia per la crisi nell’arcipelago di Mayotte. Poi Gérald Darmanin, ex ministro dell’Interno noto più per aver criticato l’Italia a trazione destra nella gestione del dossier immigrazione che non per aver affrontato la crisi di sicurezza nelle banlieue: macroniano, nominato Guardasigilli.
Proprio la casella di ministro della Giustizia è stata la più critica. Vero casus belli, amplificatosi ieri in figuraccia. Il premier l’aveva proposta a Xavier Bertrand, presidente dal 2015 della regione Hauts-de-France che lasciò i repubblicani quando la leadership fu presa dal semi-conservatore Wauquiez (il quale ha rifiutato di entrare nel governo pensando già all’Eliseo). Il premier ha chiamato il «promesso ministro» per dirgli infine che non se ne faceva più nulla, proponendogli un altro incarico. Piccato, Bertrand ha reso pubblica la trattativa denunciando il dietrofront del capo del governo «in ragione dell’opposizione del Rn».
Il fatto che Bayrou abbia ceduto alle pressioni dei lepenisti, che dall’opposizione avevano minacciato una nuova sfiducia se fosse stato scelto uno dei loro più duri oppositori, dà l’idea della debolezza di Bayrou; tanto che perfino alcuni alleati dicono che «vigileranno» sull’operato del team, 34 ministri. Parità di genere rispettata: 17 donne, 17 uomini. E dentro un super-tecnico all’Economia, il già direttore generale della cassa depositi e prestiti Éric Lombard. Tra i confermati, all’Interno Retailleau, il più a destra dell’elenco. Si vedrà se la stretta sull’immigrazione promessa da lui e Barnier per «inizio anno» vedrà la luce; Catherine Vautrin, indirizzata su Lavoro e Famiglia, fa già insorgere la gauche visto il Dna antiabortista; Lecornu e Barrot stabilizzati a Difesa ed Esteri. Il 3 gennaio primo Cdm; il 14, la dichiarazione di politica generale.
Bayrou sfoggia ottimismo: «Collettivo esperto per riconciliare e rinnovare la fiducia con i francesi». E in tv difende la scelta di Borne e la «personalità kamikaze» di Valls, smentendo «l’influenza» di Le Pen sulle sue scelte.
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