Processo “Imponimento”, i motivi dell’assoluzione degli imprenditori Stillitani
I due fratelli Stillitani erano accusati nel processo “Imponimento” di concorso esterno in associazione mafiosa ma per i giudici gli elementi assunti in dibattimento “non sono dotati di adeguata efficacia probatoria da fondare, oltre ogni ragionevole dubbio, l’emissione di una pronuncia di condanna“: da qui la sentenza di assoluzione.
VIBO VALENTIA – Nei confronti degli imprenditori di Pizzo, Francescantonio ed Emanuele Stillitani, l’accusa era concorso esterno, ovvero un presunto rapporto con la cosca Anello-Fruci in una sorta di “patto” di scambio di utilità reciproche ma a parere dei giudici al processo “Imponimento” affinché la condotta possa essere qualificata in quei termini, deve essere frutto di una libera scelta dell’imprenditore «che decide di scendere a patti con le cosche per un suo ritorno favorevole per la propria attività» e da qui, l’assoluzione.
IMPONIMENTO: L’ASSOLUZIONE DEI FRATELLI STILLITANI AL PROCESSO IN ORDINARIO
E così entrambi i fratelli (il primo anche sindaco di Pizzo e due volte assessore regionale) sono cadute le accuse mosse loro dalla Dda di Catanzaro che aveva chiesto la condanna a 21 anni di reclusione ciascuno mentre ha accolto gli avvocati Vincenzo Gennaro e Vincenzo Comi (per Franco), ed Enzo Ioppoli e Michele Andreano (Per Emanuele) avevano invocato l’assoluzione per i rispettivi clienti. E i giudici del Tribunale collegiale lametino spiegano il perché di tale decisione evidenziando che gli elementi indiziari sussistenti a carico dei due imputati “non siano dotati di adeguata efficacia probatoria da fondare, oltre ogni ragionevole dubbio, l’emissione di una pronuncia di condanna”. Inevitabile, pertanto, la sentenza di assoluzione per i due fratelli Stillitani al termine del processo “Imponimento”.
Come fonti di prova per giungere ad una condanna la Dda aveva portato i collaboratori di giustizia Francesco Michienzi, Andrea Mantella, Giuseppe Comito, Gennaro Pulice, Antonio Accorinti, Onofrio Barbieri e gli esiti intercettivi. I primi, esaminati in dibattimento, hanno reso un lungo esame soffermandosi anche sulla posizione dei due imputati.
IMPOSIZIONI DELLE COSCHE AI DUE FRATELLI IMPRENDITORI
Contrariamente alla prospettazione accusatoria, il Collegio ha dovuto appurare prima la convergenza anche sui singoli episodi integranti specifici fatti-reato, cosi verificando, nel contempo, futilità perseguita dagli imputati, giudicando insufficiente la prova sul punto. E valorizzando l’aspetto relativo alla negoziazione della protezione e al mantenimento del controllo della struttura da parte degli imputati, è emerso che gli stessi “non avevano più la gestione del villaggio, ormai in capo alla Valtur – dato su cui l’accusa ha focalizzato l’attenzione.
E per effettuare tale valutazione “non può prescindersi dalla considerazione che è senz’altro pacifico che le cosche avessero pieno potere all’interno dei villaggi riconducibili agli Stillitani” ed è “altrettanto chiaro che l’ingresso dei sodali nelle strutture fosse imposto dalla consorteria; imposizione che riguardava anche le scelte delle ditte e delle forniture”. Collimanti, a parere dei giudici, in tal senso, le dichiarazioni dei collaboratori in quanto descrivono “i momenti iniziali caratterizzanti l’assoggettamento dei fratelli in modo lineare, coerente e convergente”.
Non può dirsi altrettanto in relazione all’evolversi del rapporto dove, in realtà, i collaboratori “descrivono in modo ambivalente l’atteggiamento degli imputati, indicati talora come vittime, altre volte come collusi”. I pentiti, sollecitati in sede di controesame, in più momenti hanno riferito che gli Stillitani “non potevano sottrarsi all’imposizione, non avevano libera scelta, rischiando, in caso contrario, oltre a danneggiamenti vari, la vita e tanto non solo nella fase iniziale ma anche successivamente”.
LE INTIMIDAZIONI, LE CENE E L’AGGRESSIONE ALL’ECONOMO
Passando, poi, all’analisi della vicenda relativa agli atti intimidatori nei confronti dell’economo narrata dal collaboratore Francesco Michienzi, questi ha evidenziato come l’aggressione al professionista, il quale lamentava che Francescantonio Stillitani portasse troppi ospiti a cena e che tanto incideva sui costi, avesse come mandante proprio l’imputato che si era rivolto a Bruno Mercuri il quale, a sua volta, aveva parlato direttamente con Michienzi dicendogli che “dovevano sistemare questo economo”. Ma i giudici in questo caso non condividono l’obiezione difensiva secondo cui sarebbe inverosimile una simile ricostruzione, “rientrando le cene nei benefit riconosciuti all’imputato” e apparendo “spropositata l’aggressione rispetto a un aspetto economico di poco conto”. Sempre per il Tribunale, la motivazione sottesa all’intimidazione “non può certo ricondursi ad un profilo meramente economico, quanto, piuttosto, ragionevolmente alla necessità che l’imputato non venisse screditato da voci di tale natura”.
PROCESSO IMPONIMENTO: LE COSCHE E IL “SOSTEGNO ELETTORALE A FRANCO STILLITANI”
Analizzata anche la vicenda relativa al sostegno elettorale in relazione alla quale hanno riferito i collaboratori Michienzi, Mantella e Accorinti. In particolare Mantella aveva affermato che Franco Stillitani ebbe l’appoggio delle cosche Anello e Bonavota e che tutte le consorterie sostenevano l’imputato, facendo “fronte comune”, descrivendo anche le relative dinamiche relative alle modalità di raccolta del voto; mentre Accorinti aveva ricordato che, in occasione delle elezioni regionali, l’imputato aveva mandato tramite Saverio Prostamo i volantini al fine dì raccogliere voti e che quest’ultimo aveva sottolineato che, nel fare la richiesta, Emanuele Stillitani, fratello del candidato, aveva raccomandato di non fare pubblicità, richiesta alla quale la cosca Accorinti aveva aderito.
Pertanto, anche sulla base di altre dichiarazioni, per il Tribunale vi è, dunque, dimostrazione che Franco Stillitani, in occasione delle elezioni per il rinnovo del consiglio regionale svoltesi nell’anno 2005, “si rivolgeva alle cosche per raccogliere voti. Le consorterie criminali assecondavano la richiesta” e quanto alla cosca Anello-Fruci, tramite Bruno Mercuri, il corrispettivo “veniva consegnato da parte di Stillitani a Vincenzino Fruci e poi a Michienzi”.
“C’È L’ACCORDO STILLITANI-COSCHE MA NON LA PROVA DI UN BENEFICIO DELLE SECONDE”
Ad ogni modo, però, i giudici, quanto emerso in dibattimento, “induce a ritenere al più configurabile il reato di cui all’art. 416 ter c.p., pure riportato nel decreto di rinvio a giudizio, ai soli fini della descrizione del fatto, non contestato perché prescritto, ma non vale a connotare la condotta in termini di concorso esterno”.
Il Tribunale ritiene poi riscontrato “senza dubbio” il procacciamento di voti da parte delle associazioni criminali in questione; la corresponsione di un compenso; la resistenza di un’intesa, finalizzata alla raccolta dei voti, tra gli stessi sodalizi e l’esponente politico Stillitani; la consapevolezza che il procacciamento dei voti, avvenuto a mezzo di ‘ndranghetisti, con l’utilizzo di metodologia mafioso, ma “non vi è invece prova sicura, oltre ogni ragionevole dubbio, che le cosche, già all’interno dei villaggi in cui avevano ormai preso piede e consolidato il loro potere, proprio all’esito di tale accordo e in conseguenza dello stesso, abbiano tratto benefìcio ulteriore. L’assetto rimane e sarebbe rimasto lo stesso, anche in assenza del sostegno elettorale garantito a Franco Stillitani”.
“AL PROCESSO EMERSI ELEMENTI DI VISCHIOSITà MA NON VI FU CONCORSO ESTERNO”
Andando quindi alle conclusioni, spiegando l’assoluzione per i due Stillitani, il Collegio, ritiene che l’atteggiamento dei due fratelli sia finito “l’adeguarsi alle richieste, così certamente consentendo alle cosche di mantenere il potere”, tuttavia, si legge ancora nelle motivazioni di “Imponimento” “non sono però emersi elementi inequivocabili deponenti nel senso che a tanto corrisponda un vantaggio per gli stessi imputati. La lettura dei brani non comprova in termini di certezza tale conclusione, risultando percorribile anche la versione alternativa che vede gli imputati concludere un’intesa al fine di scongiurare ulteriori danni”.
E pur venuti alla luce in dibattimento “elementi di vischiosità nel rapporto tra gli imputati e le cosche, con riguardo alle modalità con cui tale rapporto è stato portato avanti dai medesimi”, questo “non vale, tuttavia, ad integrare l’elemento della volontarietà, mancando del tutto il sinallagma nella fase genetica del menzionato rapporto contaminato dall’elemento della costrizione, manifestatosi con le condotte minatorie di cui si è detto e non essendovi dimostrazione certa oltre ogni ragionevole dubbio che gli Stillitani abbiano ricevuto utilità per le quali era intercorsa una precisa intesa con le consorterie criminali in questione”. Da qui, dunque, l’assoluzione degli Stillitani nel primo grado del processo “Imponimento”.
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