Cambiamenti climatici, il parere dell’apicoltore Fausto Settimi
di Mario Luethy – 16.12.2024 – 08.27 – Cambiamenti climatici: ormai se ne parla a ogni piè sospinto, e forse gli abbondanti titoli e i richiami che abbondano sui “giornaloni” rischiano di intasare menti e sentimenti dell’opinione pubblica. Il troppo stroppia, si dice, e allora meglio mettere sotto la lente di ingrandimento un settore e capire cosa in realtà succede. Per l’occasione parliamo di Apicoltura, in particolare quella del piccolo territorio triestino che, pure nelle sue minuscole misure produttive, è in grado di proporre al mercato delle assolute eccellenze, primo fra tutti il miele di Marasca, ovvero Prunus mahaleb, Ciliegio canino o di Santa Lucia che dir si voglia. Con la propria Marasca, nel 2017, in quel di Montalcino, l’azienda carsolina “Settimi & Ziani”, veterana rinomata del settore nel triestino, ha avuto modo di aggiudicarsi il titolo di miglior miele d’Italia. Tralasciando gli altri riconoscimenti ottenuti, a Fausto Settimi chiediamo un consuntivo per un 2024 ormai in chiusura: – “In quarant’anni che produco miele, fatto salvo forse per il 2003, non mi era mai capitato di registrare un anno così caldo. Tutti quelli che praticano l’Agricoltura ne hanno pagato le conseguenze, ovviamente in misura diversa. Gli sfasamenti climatici stanno condizionando il nostro lavoro. Sono anni oramai che le nostre produzioni soffrono per questi cambiamenti.
Cosa s’intende per sfasamento climatico?
“Facciamo un esempio: se la fioritura di una pianta mellifera avviene con tre settimane di anticipo rispetto il previsto, le api possono essere non sono ancora pronte per effettuare la raccolta. Ecco che l’annata, per quel tipo di miele, va a farsi benedire. Nella nostra zona inoltre c’è un vero e proprio sfasamento di quasi 6 gradi centigradi fra la parte bassa collinare caratterizzata dal flysh e l’Altopiano Carsico. Anche questo è un problema di cui tenere conto per quel che riguarda le fioriture.”
Per molti tipi di coltura l’inizio della Primavera è stato problematico per il freddo e per la troppa acqua caduta…
“Per noi apicoltori, per la verità, i problemi sono iniziati già durante l’autunno 2023. Per quel che mi riguarda non sono riuscito a tirar fuori che minime quantità di miele d’edera, un miele tardivo per eccellenza. A febbraio di quest’anno poi sono stato costretto a alimentare le piccole operaie con del “candito” (è un alimento zuccherino che viene spesso utilizzato durante la brutta stagione per aiutare le api a superare il periodo in cui non lavorano e non possono procacciarsi il cibo). A marzo le robinie (che la maggior parte della gente conosce come acacie) ci regalano una fioritura eccezionale, ma in anticipo di una ventina/trentina di giorni. Purtroppo, all’assaggio, non presentavano un “punto” di dolce. A aprile e maggio ho dovuto ricorrere di nuovo al candito per nutrirle mentre il tempo scadente non dava tregua! Stesso discorso per i mesi di luglio e agosto. Ho dovuto nutrire ogni famiglia d’api con 10 – 15 chili di condito per poter tirare avanti con quelle temperature infernali che impedivano il loro lavoro. Come se non bastasse, le api hanno sfrattato i fuchi (la cui funzione principale è di fecondare l’ape regina) dall’alveare. E il fatto si è ripetuto a settembre!”
Come a dire: meglio non mettere al mondo alcuno, visto che non c’è nulla da mettere sotto i denti…
“Attenzione, il problema non ha riguardato solo il sottoscritto. Il caldo micidiale ha condizionato il lavoro dei colleghi piemontesi, lombardi, veneti, friulani, oltre agli apicoltori delle nazioni contermini. Aggiungo: la già citata fioritura tardiva dell’edera per questo 2024 è avvenuta con un mese di ritardo!”
Alla resa dei conti, cos’è riuscito a produrre?
“Dei mieli di Tiglio, Millefiori e Marasca, ma in quantità davvero limitate. Di questa situazione critica noi tutti apicoltori abbiamo informato l’assessorato regionale all’Agricoltura che, unico in tutto il Paese, ha risposto prontamente assegnandoci dei contributi per il mancato reddito. Si parla ovviamente di aiuti per apicoltori con almeno una cinquantina di arnie. È un fatto che va sicuramente sottolineato. Detto questo, sottolineo come le quantità di miele prodotte continuano a essere in decremento ogni anno di più.”
Come per tutte le altre produzioni agricole della provincia triestina, le quantità non possono essere che piccole. Concorda?
“Come non essere d’accordo. Siamo in un territorio ristretto e soprattutto povero. Di Apicoltura non si può vivere, ricavare un reddito. Produciamo, se va bene, un terzo di quello che si ricava nell’area friulana. Tuttavia, il nostro miele è ottimo, merito proprio della nostra terra dove non si praticano agricolture “spinte” e non si utilizzano prodotti di sintesi. Il Carso è ricco, il Carso è povero, chi è saggio deve sapersi accontentare di quello che ti dà! È per questo che chi lavora la terra dalle nostre parti deve ingegnarsi e integrare una produzione con l’altra, per esempio la viticoltura con l’olivicoltura o, per l’appunto con l’Apicoltura.”
Da tempo c’è chi afferma che nell’areale triestino, carsico e istriano è tipica dalla notte dei tempi la cosiddetta “ape istriana”, particolarmente resistente a bora e altre avversità climatiche dei nostri territori…
“Ape istriana? Dal mio punto di vista in queste zone le distanze non esistono più. Voglio dire: l’apicoltura slovena dovrebbe basarsi sull’ape di tipo “carnico”, la nostra sull’ape “ligustica”. Vi sono poi tracce delle api “buckfast”, un ibrido tra diverse razze di piccole operaie. Non manca pure la presenza dell’ape “sicula”. E dunque, che dire? La legge italiana ci permette di mettere nell’alveare il tipo d’api che preferiamo, e perciò parlare di un’ape specifica per questa parte del Paese e d’Europa è probabilmente una questione che merita discussione e approfondimento.”
Crisi produttiva, crisi climatica: cosa dobbiamo aspettarci per il futuro, quali strategie mettere in atto?
“Francamente non saprei che rispondere. Siamo nelle mani di Giove, per dire che sul cambiamento climatico poco possiamo fare. È un problema globale che va affrontato negli spazi deputati. Noi possiamo e dobbiamo tutelare gli spazi dove lavoriamo e contare sull’attenzione degli enti preposti, atenei e via dicendo, nella speranza di rintracciare nuove strategie per rintuzzare il cambiamento. Speriamo soprattutto che le temperature tropicali dell’estate appena trascorsa non abbiano più a verificarsi.”