Lavori da incubo, Ginevra al banco: «Il primo giorno che manchi sei licenziata»
Prosegue con la storia di Luigi la serie di articoli che Umbria24 dedica ai racconti dei giovani umbri alle prese con un mercato del lavoro dove non mancano casi di sfruttamento, paghe da fame, mancate tutele e così via. Per raccontare la vostra esperienza contattateci attraverso i canali social di Umbria24 oppure mandate una mail a redazione@umbria24.it o umbria24tr@gmail.com
di Ilaria Alleva
Ginevra ha quasi 30 anni quando torna in Umbria, dopo aver studiato all’estero e aver accumulato qualche esperienza anche fuori regione. La sua passione è sempre stata la cucina, così una volta rientrata ha trovato lavoro in un ristorantino appena aperto, con dei titolari poco più grandi di lei. Le sembrava una buona occasione, ma presto avrebbe scoperto che non lo era affatto…
Nuovo locale «Ho iniziato a lavorare in un locale che aveva appena aperto. Mi dissero che serviva una persona al banco, perché i titolari erano due fratelli e uno di loro andava in giro per tutta Italia a fare le fiere gastronomiche. ‘Non ti puoi ammalare, devi stare qui tutti i giorni dalle 9.00 di mattina alle 11.00 di sera’. Avevo solo un’ora di pausa, e facevo dal martedì alla domenica con il lunedì libero» racconta Ginevra a Umbria24, e aggiunge di aver dovuto acquistare di tasca propria anche una camicia da chef nera nonostante stesse solo al banco dei salumi.
Mansioni e contratto Ginevra racconta che i titolari arrivavano dopo di lei, cucinavano e se ne andavano, e tutto il resto era sulle sue spalle. «Avevo un contratto secondo il quale lavoravo poche ore al giorno, prendevo 700 euro e stavo da sola. Al banco non c’erano i prezzi, secondo loro dovevo impararli a memoria. Nonostante chi stia in cucina di solito la cucina se la pulisca da solo, questo compito toccava a me e alla fine lo chef aveva anche da ridire». Ginevra racconta di due titolari giovani che però si approfittavano della sua disponibilità: «Mi dicevano ‘prima di venire al ristorante passa al supermercato e prendi questo e quello, passa a prendere il pellet per la stufa’ ovviamente senza rimborsi».
L’incidente Ginevra racconta di quando è rimasta coinvolta in un tamponamento prima di arrivare al ristorante. Avrebbe potuto andare al pronto soccorso e stare a casa qualche giorno, ma memore del monito ‘Non ti puoi assentare o fai prima a non venire più’ non fa nulla di ciò che normalmente si farebbe in una situazione del genere e va al ristorante. «Mi faceva male la schiena e ogni tanto mi toccavo la colonna. Il titolare è stato tutto quel giorno e quelli successivi a prendermi in giro, senza nemmeno preoccuparsi se stessi bene». Nel frattempo si stava avvicinando Natale, e anche le ore di pausa di Ginevra pian piano sono scomparse: «Le impiegavo per trasportare, con la mia macchina e senza rimborsi, tutto l’occorrente per il food truck a casa dell’altro cuoco dal ristorante». Un lavoro che non era assolutamente previsto in nessuna parte del contratto.
La fiera di Santo Stefano Ginevra è stata chiara dall’inizio: le fiere no. Non era neanche nel contratto. Di solito, infatti, i titolari si facevano aiutare da un’altra ragazza in fiera. Invece il 24 dicembre dicono a Ginevra che il 26 deve andare con loro alla fiera gastronomica di Viterbo. Ginevra prova a dire di no, ma loro le rispondono che visto che lavora per loro deve fare tutto quello che dicono loro. «Alla fine ho ceduto e ci sono andata, ma è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Io tutto il giorno a fare il food truck, a fare i panini, un continuo, da sola, e loro in giro per la fiera a ubriacarsi e a fumare». Sono stati fuori dalle 7 del mattino fino alle 11 della sera. «Al rientro mi hanno concesso di mangiare un panino con una salsiccia, ma nulla di più, nemmeno 50 euro. ‘Tanto hai lo stipendio a fine mese, che vuoi di più?’. Il giorno dopo sono andata a licenziarmi. Mi hanno chiesto perché, chiedendomi se volessi un aumento, ma io ho risposto che tutti i soldi del mondo non valevano quel trattamento da sguattera». Ginevra oggi è disoccupata. Ha lavorato in diversi altri locali, ma ha sempre ricevuto dei trattamenti poco edificanti. Così alla fine ha messo una pietra sopra al sogno di cucinare. «Preferisco fare la casalinga, è più dignitoso».
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