Umbria

Gianni Morandi, ancora a cento all’ora


di Walter Verini

Aveva iniziato andando a cento all’ora e chiedendo alla fidanzatina di inventare una scusa per uscire, andando a prendere il latte. Che, vista l’età, doveva avere da poco smesso di poppare. Poi ha cantato per decenni, in tutti modi, l’amore. Ha detto di non essere degno di lei, poi di andare in ginocchio da lei per farsi perdonare. Ed è impossibile dimenticare quel verso – “L’acqua di una lacrima d’addio sarà l’ultimo regalo che da voi riceverò” – che celebrava un addio e quegli indimenticabili occhi di ragazza. Magari quando stava scendendo la pioggia. O in una notte di ferragosto.

Ci sono stati anche gli anni più difficili, gli anni della trasformazione della società, dei costumi, dove sembrava che fosse finito il tempo per quei ragazzi, sedicenni o poco più che avevano vinto Sanremo, Cantagiro, Canzonissime e dischi per l’estate, sbaragliando classifiche e hit parade, bandiere gialle e per voi giovani… Lui era già un grandissimo simbolo e con lui le Rita Pavone, i Bobby Solo, le Caterina Caselli. E i grandi complessi – allora non si chiamavano gruppi – che tra cover e brani propri hanno tracciato la colonna sonora di generazioni e del paese. Anni difficili, dicevamo. Fu allora che trovò la forza, lo studio, l’impegno per risollevarsi, e dirci che sì, uno su mille ce la può fare. Ce la fa. E ce la fece.

Ricordo che proprio in Umbria – dove era stato e tornò poi molte volte e difficilmente me lo sono perso – cantò Uno su mille una delle primissime volte. Era al teatro comunale di Città di Castello. La serata era organizzata dall’Arci e da radio Tiferno uno e finì con una indimenticabile cena all’enoteca di Primetto, a suon di scherzi di cui fu vittima un ragazzino, malcapitato, che aveva accompagnato Morandi da Roma: si chiamava Eros Ramazzotti.

Ed ecco, da quei giorni, altri decenni di successi, di amore ricambiato con milioni di italiani più maturi e con nuove generazioni, che trovavano motivi in più per volergli bene e ritrovarsi nelle sue canzoni, nella sua simpatia di ragazzo figlio di un ciabattino che diffondeva l’unità a Monghidoro. Ma lui, sempre attaccato a quelle origini, al padre comunista, piaceva a tutti. A destra e sinistra. Una sorta di vocazione maggioritaria all’ennesima potenza. Amore, ma poi anche amicizia, magari cantando insieme canzoni stonate.

Ma c’è anche un altro, incancellabile, indimenticabile, Gianni Morandi, perché, ovviamente, è di lui che stiamo parlando. E lo facciamo qualche giorno dopo la giusta celebrazione a reti unificate del suo grande 80esimo compleanno. È il Gianni di canzoni come C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling stones (autore Mauro Lusini), che con Auschwitz e Dio è morto sembrano scritte in questi giorni drammatici, terribili. Giorni angoscianti di guerre, massacri, ritorni di antisemitismo. Questo per restare solo a patrimoni musicali (e civili) italiani, che non sfigurano certo – per me – davanti a pezzi immortali di quegli anni, e penso a Imagine, a Blowind in the wind

Grazie Gianni per averci anche detto che c’era un grande prato verde, dove nascevano speranze, che non andavano (e che non vanno) tradite, anche nell’epoca delle passioni tristi e del risentimento, come ci ricorda Paul Krugman lasciando il New York times. E allora, come ha cantato lui stesso insieme a Jovanotti, evviva a questo ragazzo, che ha fatto innamorare tutta l’Italia.

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