Performance :: Le Recensioni di OndaRock
Nel libro “Nel sottosopra degli anni 80” gli autori ribaltano il paradigma degli anni 80 come “leggeri” e “inconsistenti”, fatti di edonismo e individualismo. Dal punto di vista sociale la cosa è confutabile se solo si pensa agli strascichi del terrorismo (strage della Stazione di Bologna del 1980) e alla cappa mortifera della guerra fredda (il Muro di Berlino cade solo nel 1989). Dal punto di vista musicale, si sottolinea l’esplosione di creatività, ricerca e provocazione trainata dall’elettronica. La svalutazione di quel decennio è dovuta proprio al fatto che scardinò i canoni rock e pop creando nuova musica mai sentita: nessuno potrebbe etichettare l’elettronica dei Depeche Mode come musica “leggera” perché mette insieme l’euforia del nuovo, l’escapismo romantico da una realtà opprimente e il senso di inquietudine per un futuro incerto.
Vi viene in mente qualcosa? È l’identikit del presente decennio e non a caso il synth-pop è tornato in auge in decine di mirabili progetti, altro che revival. Tra questi progetti quello del canadese Robert Alfons si è da subito caratterizzato per un’adesione estetica ai canoni di un synth-pop oscuro e pervicace, teso a rappresentare stati d’animo ondeggianti tra la melanconia e l’euforia. Gli scintillanti scenari creati da synth in bella mostra e fredde trame ordite da bassi pulsanti e drum machine fanno di TR/ST uno dei più integerrimi rappresentanti del verbo anni 80. Un sollucchero per chi voglia vivere il calore della musica sintetica quando viene ammaestrata e diventa fonte di eccitazione sonora e fisica.
Dopo che Maya Postepski lasciò il duo per dedicarsi agli Austra, Alfons diventò il titolare di TR/ST e con la pubblicazione del primo album “TRST” (uscito per la Arts & Crafts nel 2012) delineò chiaramente i tratti di un pop virante al cupo che lo inserì nella nuova onda della dark/coldwave capeggiata da giganti come Cold Cave e Soft Moon, da cui si differenziava per una maggiore attitudine al guizzo scintillante e alla melodia zuccherosa. Mentre “Joyland” (2014) calcava la mano su sonorità spaziali e luccicanti, i successivi “The Destroyer” parte I e II si muovevano il primo su traiettorie industrial e il secondo verso lidi ambient. Una perdita di direzione? Il basso impatto delle composizioni poteva suggerirlo.
Era necessaria una sterzata che arriva puntuale quest’anno con “Performance”, che ne segna un ritorno in grande stile nell’empireo della musica sintetica. Il timone torna a dare la rotta di un pop sintetico da manuale, fatto di melodie, incastri di pulsazioni e ritmo che si potrebbero ascoltare a ripetizione senza stancarsi. Un brano come “Regret” prende il meglio dell’eredità dei primi Depeche Mode, mentre basso e drum machine sfondano i timpani e cattedrali di tastiere elevano l’ascoltatore verso traiettorie spaziali. La voce nasale di Alfons ci mette davanti ai nostri rimpianti e il corpo non può smettere di ballare.
“All At Once” ci svela l’animo più romantico di TR/ST in un brano che prende l’energia dai Pet Shop Boys e vola verso vette radiofoniche trascinato da un ritornello al miele. “The Shore” è il tributo che Robert Alfons fa a generazioni di creatori di suoni elettronici: il brano parte guidato da una pulsazione proveniente dalla parte oscura della luna per poi esplodere in un incedere marziale da club alternativo, mentre i Front 242 sorridono paterni. “Boys Of LA” è una bomba dark che fluttua tra frequenze basse e svisate di sintetizzatori allucinati mentre Alfons declama i dubbi di un’esistenza al limite: “Leaving a mess that stay, Less of me becomes ashamed, I don’t know what to say, I don’t know at all”.
Il brano che dà il titolo all’album dona un momento di requie all’ascoltatore eccitato da tanta ricchezza di suoni e vibrazioni: è un brano ballabile anche se il meglio lo offre nell’intreccio di melodia e tonalità cupe.
“Performance” è un saggio di alta scuola relativo all’aulica materia “musica pop elettronica” e vince per la sua solidità, freschezza e capacità di incendiare la nostra immaginazione.
26/10/2024