Omicidio Bellocco, Beretta voleva gli introiti tutti per sé
Il 4 settembre a Cernusco regola i conti con il rivale in affari uccidendolo e alla base dell’omicidio di Bellocco ci sarebbe la volontà di Beretta di tenere tutti i soldi per sé
MILANO – “Mors tua vita mea” questa locuzione latina, si dice, la pronunciassero i gladiatori prima di entrare nell’arena e combattere fino a quando uno dei due contendenti moriva in maniera violenta. Sicuramente questo avrà pensato Andrea Beretta quando il 4 settembre scorso si scagliò contro Antonio Bellocco uccidendolo con una ventina di coltellate, undici delle quali fatali alla gola, Ammazzare per non essere ammazzato. E così fu.
Beretta ha ripetuto davanti ai pm di Milano la sua versione ammettendo di aver saputo da fonti interne alla curva nord di San Siro che Bellocco lo voleva ammazzare e per farlo aveva pianificato tutto insieme ad un gruppo che lo aveva raggiunto dalla Calabria. Beretta avrebbe avuto la colpa di non aver voluto dividere gli introiti derivanti dal merchandising del tifo più caldo nerazzurro. In un primo tempo si era ipotizzato di attirare Beretta in una cascina con la scusa di un recupero credito da spartirsi poi, però si opta di stordirlo con una sostanza durante una cena per poi sparargli e quindi occultarne il corpo con la calce viva. Ma qualcuno avvisa Beretta del piano segreto e quest’ultimo si premunisce di armarsi di coltello e pistola. Poi, il 4 settembre a Cernusco regola i conti con Antonio Bellocco uccidendolo.
OMICIDIO BELLOCCO, BERETTA RACCONTA L’OMICIDIO
Gli investigatori avrebbero individuato l’uomo che ha avvisato Beretta che però avrebbe negato qualsiasi responsabilità. «Mi ha minacciato, mi ha detto che avrebbe ammazzato me e la mia famiglia – ha raccontato Beretta – ed allora ho tirato fuori la mia pistola e mi ha disarmato, ha cominciato a spararmi, ma, dopo il primo colpo, il caricatore è caduto. Continuava a premere il grilletto a vuoto, allora io ho estratto il coltello che porto con me e ho colpito».
Le minacce sarebbero avvenute nel mese di luglio quando Bellocco ed i suoi sodali lo avrebbero convocato in un garage della casa di Pioltello, in via Genova, dopo viveva Bellocco e vi si trovavano alcuni soggetti a lui vicini e tra questi Salvatore Paolillo 48 anni di San Ferdinando, soggetto con precedenti penali, ritenuto uomo di fiducia del suocero di Bellocco, Domenico Sità 33 anni di Taurianova, con precedenti per falso e tale Daniel D’Alessandro di 29 anni cugino di Marco Ferdico.
I fotogrammi di quell’incontro tra Beretta e i quattro compreso Totò Bellocco nel quale il capo della curva sarebbe stato minacciato di morte sono stati estrapolati dalla Polizia dalle telecamere della zona e confermano il racconto di Beretta. Dietro la morte di Bellocco, infatti, sembrerebbe esserci un giro d’affari che riguardava diversi esponenti del tifo organizzato interista (di cui 19 sono stati arrestati nei giorni scorsi e una quarantina risultano ancora indagati) che prevedeva richieste di pizzo e creste varie sulla vendita di biglietti delle partite, merchandising e anche traffico di droga.
LA DIFESA E I MOTIVI DELL’AZIONE
Beretta, arrestato poco dopo l’omicidio di Bellocco, aveva una gamba ferita da un colpo di pistola. Il 49enne, ormai ex capo ultrà della Curva Nord dell’Inter, ha subito dichiarato di aver accoltellato il 36enne per difesa. L’omicidio si era consumato nel parcheggio di una palestra di Cernusco, dove i due si erano parlati all’interno dell’auto di Bellocco. Stando a quanto riportato da lui stesso, Beretta avrebbe agito perché temeva da giorni un’aggressione da parte del clan Bellocco. L’integrazione datata 16 settembre, e firmata dai pm di Milano Paolo Storari e Sara Ombra, spiega che Beretta aveva rivelato “di essere stato a conoscenza di un ‘piano omicidiario‘” per farlo fuori.
Questo “piano”, avrebbe dovuto essere messo in atto dopo che lo stesso 49enne “era stato convocato, tra giugno e luglio, a casa di Bellocco”. Là, all’interno dei box, Beretta aveva incontrato “due emissari” della famiglia Bellocco, “di cui uno presentato come un latitante, che gli avevano rivolto direttamente concrete intimidazioni” in merito al merchandising.
COSA SUCCEDE NELLA CURVA DOPO L’OMICIDIO DI BELLOCCO E L’ARRESTO DI BERETTA
Dopo l’omicidio di Belloco gli esponenti della curva circa 300 annota la Polizia si danno appuntamento il 12 settembre in un bar e sviene notata la presenza anche Giuseppe “Pino” Caminiti. Si tratta del classe ’69 di Taurianova sul quale pende anche l’accusa dell’omicidio, avvenuto nel 1992 a Milano, di Fausto Borgioli, considerato un esponente del gruppo criminale facente capo al defunto Francis Turatello, ucciso, a colpi d’arma da fuoco, mentre si trovava per strada. Caminiti – secondo i pm della Dda – si trovava sul luogo dell’incontro del 12 settembre scorso e, accertata la presenza delle forze dell’ordine, «si sarebbe velocemente allontanato dal posto» dopo aver dialogato con altri ultras nerazzurri.
Dall’ascolto di una particolare conversazione, scrivono i pm della Dda milanese, sarebbe emerso come «Caminiti avesse commentato con una serie di soggetti, tra cui Marco Ferdico sui nuovi soggetti terzi interessati alla gestione della tifoseria organizzata a sostegno dell’Inter tra cui tale “Davidino”. Con un altro soggetto, invece, avrebbe parlato «del nuovo “capo” della Curva Nord indicato nella riunione in Renato Bosetti» e «confermato il suo ruolo nel direttivo del gruppo “Brigata”, ma anche di quello della Curva Nord, gestito unitamente a Bosetti». Insomma, nonostante quanto accaduto, soggetti ritenuti equivoci continuano a frequentare gli ultras nerazzurri.
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