Israele prova a festeggiare il Capodanno con conflitti aperti in ognuno dei 7 fronti
5.785 anni, e li dimostra tutti il popolo d’Israele in questo Capodanno, 362° giorno di guerra. Le famiglie ieri sera si sono riunite intorno al tavolo su cui il miele è stato preparato in una coppa insieme a spicchi di mela per rappresentare la dolcezza anelata. A un anno dal 7 ottobre, le benedizioni del cibo che invocano un anno migliore sono pronte, oggi al Tempio si udrà lo shofar, il corno che risuona nei millenni della terra d’Israele, a Gerusalemme, nei deserti e nei boschi, per chiamare a raccolta, per incoraggiare, per benedire. Si leggerà insieme l’eterna storia del sacrificio di Isacco, come Abramo potendosi repentinamente allontanare dal sacrificio del figlio che in estremo atto di ubbidienza aveva accettato di compiere, subito sancisce una volta per sempre nella storia del popolo ebraico il rifiuto a spargere sangue. Seduti intorni al tavolo su cui il cibo e il vino parlano di auguri, speranza, dolcezza, in realtà le gente d’Israele misura l’unicità della sua esperienza storica, di come sempre sia messo alla prova e di quanto debba combattere per vincere ogni volta tornando alla vita.
Lunedì sera quasi 200 missili iraniani sono piovuti sulla gente nei rifugi, provenienti da questo Paese lontanissimo, un regime autoritario e violento che fa della distruzione di Israele il suo compito storico, ancora tiene pronti e aperti i rifugi. Le sirene e le bombe possono ricominciare ad ogni momento, la storia chiama a fronteggiare il nemico sempre più faccia a faccia. Dal Libano hanno ricominciato a piovere missili sul Nord, gli Hezbollah rientrano in possesso delle loro armi iraniane. È stato un anno per il quale centinaia di famiglie ieri sera hanno dovuto lasciare vuote molte sedie, distrutte dal lutto dei 1.200 morti e dei rapiti del 7 ottobre ancora nelle mani di Hamas; i genitori, le spose, i figli di 700 soldati uccisi nella guerra non si sanno capacitare di questa nuova assenza; ieri l’ingresso dei soldati in Libano ha visto otto soldati uccisi nell’operazione, mentre smascheravano le gallerie da cui gli Hezbollah intendevano compiere un nuovo 7 ottobre. Nelle ore in cui si preparava il Capodanno si è visto alla tv Eitan Oster, il suo volto perfetto di ragazzo biondo di 22 anni, mentre diceva ai genitori due giorni fa quanto si sentisse onorato di combattere per la loro salvezza. Difficile festeggiare mentre si celebra il Capodanno in guerra su tutti e sette i fronti su cui il Paese è costretto a combattere. Nelle ore in cui ci si avviava alla cena, il gabinetto discuteva come rispondere all’attacco che martedì ha costretto tutta Israele nei bunker; nei cimiteri di Tel Aviv e dintorni si seppellivano le sei giovanissime vittime uccise su un autobus da due terroristi giunti da Hebron con un mitra.
Eppure Israele è sempre il quinto Paese al mondo nella classifica dei paesi felici, la sua gioventù che combatte al fronte è la seconda del mondo in questo stesso gruppo. La guerra ha portato alla scoperta di una gioventù forte e senza paura, appassionata della vita, consapevole di combattere per la libertà contro il terrorismo. Il risveglio del Paese dalla depressione ben giustificata del 7 ottobre, della inverosimile incapacità a identificarne i segni alla sua vigilia, e quindi la decisione di fronteggiare il pericolo per quello che è, con il folle coraggio che richiede l’eliminazione di nemici più terribili, e il testa a testa con l’Iran, crea uno spirito di speranza, di identità.
Israele quest’anno ha anche guardato stupefatto a come l’antisemitismo si impossessava delle istituzioni internazionali come l’Onu e di quelle culturali, le università: adesso però comincia a sentire che l’avere impugnato la spada contro il terrorismo le vale un’ondata di solidarietà inusitata specie da parte degli Stati Uniti. Israele brinda con un vino fresco e amaro, ancora in preparazione nei tini del futuro. Ma brinda, nonostante l’anno terribile.
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