Società

Dentro la Convention democratica: cosa cambia per le elezioni presidenziali

Kamala Harris ha accettato formalmente la candidatura a presidente degli Stati Uniti, ma questo era un passaggio ovvio per la Convention del Partito democratico americano che si è appena chiusa a Chicago. La grande attesa era per il suo primo, grande discorso, la presentazione formale agli americani come alternativa a Joe Biden, che avrebbe dovuto essere incoronato in quanto vincitore delle primarie, e che invece si è sfilato sotto la pressione di un partito mai così tormentato. Ecco una prima analisi di come è andata la Convention e di cosa cambia per le elezioni presidenziali, che si terranno tra meno di tre mesi.

Bruce GildenMagnum

Kamala Harris

Moglie, figlia, donna, procuratrice, vicepresidente, presidente. Kamala Harris si è presentata ai delegati Democratici all’America e al mondo in questo ordine: il ringraziamento al marito Doug come prima tappa di un discorso che ha declinato la sua biografia in chiave elettorale, una grande storia americana, una risposta a Donald Trump che l’aveva accusata di scegliere la propria identità in modo tattico (prima indiana, poi afroamericana).

Nei quaranta minuti di discorso di Kamala Harris non ci sono frasi memorabili, la vicepresidente non sembra avere l’inclinazione agli slogan o all’oratoria elegante e visionaria di Barack Obama. Ma ogni riga, ogni passaggio, ogni enfasi del discorso aveva un obiettivo: costruire un personaggio coerente, e vincente.

Il «personaggio» Kamala nasce intorno a un monito della mamma: «Quando vedi un’ingiustizia, non lamentarti, fai qualcosa per affrontarla». Un principio del quale Kamala si presenta come la personificazione: i suoi genitori si sono incontrati a una protesta per i diritti civili, l’hanno educata – da figlia di immigrati, per quanto più qualificati e benestanti della media – a non accontentarsi e a lavorare per il cambiamento, ha scelto di diventare procuratrice per portare giustizia, dopo aver saputo che una sua amichetta veniva molestata dal padre. Una giustizia che non è vendetta per la vittima, spiega, ma sanzione per un torto fatto alla società nel suo insieme.

Questo messaggio di grande unità è la vera cifra del nuovo posizionamento di Kamala Harris e del Partito democratico: se Joe Biden era il simbolo di quella metà dell’America che voleva resistere all’assalto di Donald Trump e dei suoi estremisti, Kamala Harris cerca la riconciliazione. Lei è di un’altra generazione rispetto ai due anziani sfidanti del 2020, il Paese può lasciarsi tutto alle spalle come lei ha lasciato alle spalle Biden.

La cosa difficile è tenere insieme questo afflato unitario con la denuncia del pericolo Trump: la sintesi che Kamala Harris offre è che Trump “non è una persona seria” ma la sua rielezione può avere conseguenze “estremamente serie”.

Dopo un mese di enorme entusiasmo mediatico, e nella base del Partito democratico, riflesso in sondaggi molto più positivi di quelli che aveva Biden, Kamala Harris correva il rischio di deludere, o di incrinare la sua rinnovata immagine di freschezza e novità. Ha quindi scelto di fare un discorso cauto, senza acuti, per consolidare il suo personaggio. Non è stato un discorso epico, memorabile. Tutto quello di epocale in questa campagna elettorale è successo prima della convention – il dibattito Trump-Biden, l’attentato a Trump, il ritiro di Biden – e succederà nelle prossime settimane.


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