Omicidio Alice Scagni, per il giudice da parte di Alberto “nessun segno di pentimento per il dolore provocato”
Genova Da parte di Alberto Scagni nel periodo di detenzione successivo all’omicidio così come nel processo in Corte d’assise è “mancata anche solo una parola di pentimento per lo straziante dolore che ha cagionato ai genitori e alla nonna, privandoli della figlia e della nipote adorata, al cognato, privandolo della moglie amata, e soprattutto al nipote, privandolo a un anno di vita di una madre la cui perdita così prematura lo segnerà per sempre”. Lo ha scritto il presidente della Corte d’assise di Genova Massimo Cusatti nelle motivazioni della sentenza, spiegando così la condanna a 24 anni di reclusione, pena massima per l’omicidio volontario. Per la Corte d’assiste il delitto della sorella Alice, è stato premeditato ma l’aggravante è stata bilanciata nella sentenza con lo sconto di pena per il vizio parziale di mente.
Sulla capacità di intendere e di volere di Alberto Scagni, che oggi si trova ancora in ospedale dopo essere stato massacrato da due detenuti nel carcere di Sanremo, la sentenza concorda con quanto stabilito dalla perizia psichiatrica disposta dal gip: “Il vizio parziale di mente ha offuscato la volontà dell’imputato al momento del fatto – si legge scorrendo le motivazioni della sentenza – l’enorme pressione psicologica ingenerata dalle vili condizioni di vita in cui l’ha precipitato il disturbo di personalità dal quale egli è pacificamente affetto gli ha allentato a tal punto i freni inibitori da non contenerne la volontà di dare compimento alla gravissima minaccia proferita nei confronti del padre al fine di punirlo per non avergli accreditato il denaro richiesto”.
Una sorta di “transitoria degenerazione del già grave disturbo di personalità dal quale Scagni è affetto, non a caso “rientrata” subito dopo il delitto, “quando l’uomo ha recuperato la consueta apatia e il solito distacco emotivo che ne hanno caratterizzato l’intera vita adulta”
Ma per il giudice Scagni “ha pienamente compreso il senso della sua azione criminosa”, come emerge anche dal comportamento tenuto al momento dell’arresto: “Non ha avuto, per vero, alcuna reazione scomposta” e “Si è comportato come un soggetto consapevole della gravità dell’azione commessa e, anzi, quasi appagato dal fatto di esserne stato riconosciuto come l’autore in una sorta di narcisistica megalomania” per sottolineare la quale il giudice ricorda le due scritte che Scagni aveva fatto su una parete del suo appartamento: ‘Ho superato qualunque cosa. Alberto Scagni’ e ‘La mia ambizione ha superato il mio talento’.
Narcisista estremo, Scagni “per quanto affetto da un grave disturbo di personalità, la cui escalation l’ha determinato a commettere l’omicidio” della sorella “ha mantenuto e mantiene tuttora un suo peculiare “equilibrio” psichico nel cui ambito non v’è spazio per soggetti diversi da sé medesimo, per quanto proprio la sorella Alice sia stata quella, tra i suoi stretti congiunti, che più ha cercato di stargli vicino, di comprenderne le sfuriate, di venirgli incontro quando si allontanava capricciosamente dal suo nucleo familiare per inseguire i propri fantasmi di grandiosità e di megalomania”
Questo secondo il giudice rivela “una personalità e un carattere estremamente negativi, che l’hanno spinto ad atteggiarsi come un soggetto privo di ogni capacità di empatia, di entrare in una vera relazione con l’altro, di provare un minimo di pentimento per il dolore provocato”.