Tatiana Schlossberg: «Mi hanno diagnosticato la leucemia mieloide acuta, con una rara mutazione. Di solito si riscontra nei pazienti anziani. Io avevo 34 anni»
George ha fatto per me tutto ciò che era umanamente possibile. Parlava con tutti i medici e con quelli dell’assicurazione con cui io non avevo alcuna voglia di parlare, ha dormito sul pavimento dell’ospedale, non si è arrabbiato nemmeno quando, fuori di me per via dei cortisonici, gli urlavo che la Schweppes al ginger non mi piaceva, che volevo solo la Canada Dry. Rientrava a casa per mettere a letto i nostri figli e poi tornava in ospedale per portarmi la cena. So che non tutti possono essere sposati con un medico, ma se capita è davvero un’ottima cosa. Lui è perfetto, e io mi sento derubata e triste all’idea di non poter continuare a vivere la vita meravigliosa che avevo con questo genio gentile, spiritoso e affascinante che sono riuscita, chissà come, a trovare.
I miei genitori, mio fratello e mia sorella, anche loro, si sono occupati dei miei figli e sono rimasti seduti nelle mie varie stanze d’ospedale quasi ogni giorno negli ultimi diciotto mesi. Mi hanno tenuto la mano senza esitare, cercando di non lasciar trasparire la loro tristezza, per proteggermi anche da quello. È stato un dono immenso, anche se io il loro dolore lo sento ogni singolo giorno. Per tutta la vita ho cercato di essere brava, di essere una brava studentessa, una brava sorella, una brava figlia, e di proteggere mia madre, senza mai darle motivo di agitarsi o arrabbiarsi. Ora ho aggiunto una nuova tragedia alla sua vita, alla vita della nostra famiglia.
Sono tornata a casa dopo cinquanta giorni al Memorial Sloan Kettering. Il trapianto mi aveva portata in remissione, ma non avevo più un sistema immunitario e avrei dovuto rifare i vaccini dell’infanzia. Ho iniziato un nuovo ciclo di chemioterapia. Ho avuto una ricaduta. Il medico che aveva eseguito il trapianto ha detto che la leucemia con la mia mutazione «ama tornare».
A gennaio sono entrata in uno studio clinico sulla terapia con cellule CAR-T, un tipo di immunoterapia che si è rivelata efficace contro alcuni tumori del sangue. I ricercatori avrebbero «ingegnerizzato» i linfociti T di mia sorella, programmando quelle cellule perché attaccassero le mie cellule tumorali. Fuori dalla finestra della mia stanza d’ospedale era sempre buio. Mi hanno somministrato altra chemioterapia. Dopo il trattamento con le CAR-T ho sviluppato una sindrome da rilascio di citochine, una tempesta infiammatoria che mi ha lasciato incapace di respirare senza ossigeno ad alto flusso. I polmoni si riempivano di liquido, il fegato protestava e io ero costantemente sul punto di finire in terapia intensiva. Qualche settimana dopo ero di nuovo in remissione, anche se avevo perso una decina di chili. I medici erano soddisfatti: mi era andata meglio che a molti altri pazienti dello studio, cosa che sembrava quasi impossibile, e così sono tornata a casa.
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