Società

Perché in Spagna i femminicidi sono diminuiti del 30%: vent’anni di politiche pubbliche ed educazione sessuale

In Spagna i femminicidi sono diminuiti in modo significativo. Il 2024 si è chiuso con 47 donne uccise, il numero più basso dal 2003. Una tendenza che secondo diversi osservatori deriva da un percorso lungo vent’anni. Graciela Atencio, giornalista e fondatrice dell’osservatorio Feminicidio.net, lo sintetizza così: «Da quando entrò in vigore nel 2004 la legge di violenza di genere, i femminicidi sono diminuiti almeno del 30%».

Per Atencio questo dato è la prova che «le politiche pubbliche sono importanti, funzionano e le leggi marcano un cambio di paradigma». Una riduzione ottenuta nel tempo e che ha richiesto di non abbassare la guardia, perché il contesto continua a cambiare e nuovi fattori di rischio, come il negazionismo tra i giovani e la diffusione della pornografia violenta, si stanno imponendo.

La diminuzione non è uniforme su tutto il territorio nazionale e alcune regioni, come l’Andalusia, hanno registrato nel 2023 un aumento dei casi. Atencio avverte che quei numeri «richiedono un appello alle istituzioni pubbliche» e invita ad analizzare congiuntamente cause e dinamiche. Ma la tendenza generale del Paese resta quella di una riduzione costante, frutto di un insieme di misure coordinate.

A confermare il peso delle politiche strutturali è anche la sociologa Giulia Selmi, docente dell’Università di Parma e studiosa della prevenzione della violenza di genere. In un’intervista al Corriere, osserva che la Spagna ha costruito un modello basato su più fattori, in cui la scuola ha un ruolo essenziale. «La Spagna vent’anni fa ha fatto una legge quadro: un approccio strutturale alla violenza, che ha la scuola come uno dei suoi assi fondamentali, ma anche la comunicazione sui media, l’accesso alla giustizia e la formazione degli ordini professionali (medici, giudici e poliziotti) e il sostegno al lavoro delle donne. Tutto questo ha ridotto i femminicidi in maniera significativa. Ci hanno messo vent’anni, c’è ancora molto da fare ma in Spagna c’è una tendenza netta al cambiamento che noi in Italia non abbiamo».

E ancora: «Tutte le ricerche (lo certifica anche l’Unesco) mostrano che l’educazione sessoaffettiva è uno degli elementi che concorrono a contrastare la cultura della violenza. Concorre, non la fa magicamente sparire: sono processi i cui risultati si vedono nel tempo e che dipendono da più fattori».

In Italia, l’Aula della Camera ha approvato in prima lettura il ddl Valditara che riguarda l’educazione sessuo-affettiva e il consenso informato a scuola: sarà possibile insegnare l’educazione sessuo-affettiva solo dalle medie e con il via libera dei genitori.

A proposito del dibattito italiano, la sociologa respinge l’idea che l’educazione sessuo-affettiva sia irrilevante: «La ministra per le pari opportunità e la Famiglia Eugenia Roccella sostiene che nei Paesi dove c’è educazione sessoaffettiva i femminicidi non sono diminuiti. Ma la violenza maschile contro le donne ha tante forme, di cui il femminicidio è solo l’apice». La Spagna, aggiunge, dimostra il contrario con una riduzione stabile e documentata: «E non possiamo averla se pensiamo che il contrasto alla violenza di genere sia una cosa che va subordinata alle opinioni delle famiglie o degli individui».


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