Francesca Albanese: la filosofa De Monticelli difende la relatrice ONU dopo le critiche
Cara Francesca,
C’è una cosa importante che voglio dirti prima di tutto. Tu hai fatto e fai un lavoro di una grandezza incomparabile rispetto a quello che facciamo noi professori, o anche gli intellettuali pubblici, e certamente anche gli attivisti, per buona e giusta che sia la loro causa. Non basta dire “un lavoro diverso”, bisogna dire: un lavoro d’altra responsabilità e d’altra taglia, comparabili solo all’intensità e all’estensione del concetto di umanità.
Questa frase ha molti sensi. Il primo è: coraggio Francesca, la verità ti salva. Tu hai finalmente incarnato la voce che dovrebbe essere quella del diritto, e diciamolo pure, proprio del suo nucleo “divino”, più divino ancora per chi non crede più a nessun dio: tradurre nel dettato universale della giustizia il grido dei massacrati e degli oppressi, e con questo dare loro la voce e la rappresentanza che non hanno. Non si tratta di rappresentanza politica. No. Questo è uno dei grandi equivoci possibili. Tu li rappresenti nella difesa che ne assumi al cospetto della giurisdizione universale della ragione, cioè della “giustizia universale”, quella che in parte i tribunali internazionali amministrano. Lo sanno i milioni di uomini e donne che pendono dalle tue labbra nel mondo, perché tu rafforzi la loro (già miracolosa) speranza che “esista pure un giudice a Berlino”, nonostante tutto. E non resterà vana, ma inciderà profondamente nella storia, tutta la verità che il lavoro del diritto internazionale ha fatto in questi anni, riuscendo infine, in questi ultimi mesi, a squarciare la spessissima coltre di silenzio e menzogna che riguarda la Palestina e Israele, e con questa, a mostrare più universalmente, in tutto il suo orrore, la tragedia coloniale su cui l’economia occidentale si è fondata, “il gene dormiente” che ancora abita le nostre menti. A mostrarlo anche con le tue parole, rapporti, lezioni, interventi. La tua lezione da Johannesburg è un pezzo da antologia, che bisognerebbe leggere a scuola: anche per la speranza in qualcosa che nasce, e sembra incrinare quella normalizzazione dell’atroce e dell’abnorme che da sempre tu combatti.
Ma poi, Francesca, c’è molto altro da dire su questa espressione che i più leggeranno solo come enfatica, la “grandezza” di questo tuo lavoro. Questa grandezza c’entra con la tua persona solo nella misura in cui tu hai reso umana e a tutti comprensibile la voce del diritto, e per questo ho detto che i milioni pendono dalle tue labbra, cosa mai successa per i precedenti relatori speciali. Io ho capito solo vedendoti parlare su tutti i palcoscenici del mondo, oltre che studiando i tuoi rapporti, perché l’ad-vocatus sia in greco il Paracleto, perché il Difensore sia anche il Consolatore. Che poi è lo spirito, quello che si dice “dono di vita”, il soffio che guarisce, ricrea, rinnova, fa rinascere. E’ la sensazione che milioni di persone al mondo hanno provato ascoltando i delegati del Sudafrica parlare di fronte alla Corte internazionale di giustizia dell’Aja, enunciando le ragioni per accusare Israele di genocidio.
No, non è enfasi questa. È l’altra faccia della tragedia, e la premessa per capirla. Una tragedia che non travolge (momentaneamente, Francesca, ne sono certa) solo te. Anche a prescindere dalla viltà di espressioni quali “la maestrina dalla penna rossa”, o “dell’estremismo”, che tradiscono forse anche il completo cinismo di chi le scrive, assimilandoti ai “cattivi maestri” che facevano azzoppare gli avversari. Ma nessuno di quelli che ti fanno la lezione sa cosa vuol dire reggere sulle proprie spalle la speranza di milioni di oppressi e l’odio mortale degli altri, i responsabili di questo genocidio e le schiere di complici che ne vivono e ne dipendono, e le loro sanzioni, e le minacce di morte e di violenza che quotidianamente tu subisci.
I più, anche a sinistra, sembrano non capire fino in fondo questa tragedia: che una figura dell’universale – cioè della giustizia – possa venire ridotta a figura di parte, non appena l’umanità di questa figura, minacciata quotidianamente di morte, traligni anche di pochissimo dall’altezza del suo destino. Che proibisce a te ciò che è concesso a tutti noi, un minimo sfogo, una parola opaca. E quelli che si limitano soltanto a sottolineare l’errore, la parola sbagliata che c’è stata, perfino quando lo fanno proprio per difendere l’ideale, e non per imbrattarlo, come fa la canea che contro di te si è scatenata: perfino loro, se fanno solo questo e non dicono altro, sembrano ciechi alla questione di fondo. Che ha due aspetti: uno, la tua tragedia personale, l’altro, la tragedia che incombe su noi tutti.
Ecco il primo aspetto. Che un’irruzione di un branco di teppisti alla Stampa sia di gravità estrema, tu lo hai detto, l’hai condannata, e tutta la tua vita la condanna. Ma non è estrema anche quella delle omissioni e distorsioni che operano da sempre quasi tutti i giornali su Palestina e Israele, (purtroppo anche alla Stampa, nonostante l’eccezione di alcune grandi voci)? Sì, ma è vero che la libertà di opinione come diritto protegge anche chi omette e chi distorce il vero. Simone Weil arrivò a dire che questo viola un diritto dell’anima – la conoscenza – e va punito. Tu hai lasciato intendere molto di meno: che non si dovrebbe, omettere e distorcere. Ma tutti hanno visto soltanto la giustificazione dell’irruzione, che avevi appena condannato. Ora, alla filosofia importano le relazioni e distinzioni di valore, in assoluto e non nel relativo delle circostanze. E allo spirito del diritto non importa nulla delle conseguenze. Ma tu come persona invece rischi più dell’onda d’odio e perfino più della vita. Tu rischi la vita per una causa che la politica quotidiana relativizza e quindi delegittima. È una solitudine tragica, che nessuno dei tuoi accusatori conosce.
Ma questa è anche la tragedia di tutti, quella che da sempre incombe nei rapporti fra politica e verità, politica e giustizia, politica e diritto. Quella che colpì anche Platone, a Siracusa: perché non ci si oppone impunemente alla forza immane dei Leviatani. Una cosa è l’impotenza del diritto, che è contingente, dipende dalla politica. Altra cosa è il miracolo cognitivo che le pronunce del diritto internazionale hanno fatto. Oggi a livello globale “tutti conoscono la verità”, anche quelli che la negano o la rimuovono. Disse Licia Pinelli: “Quando chiedi giustizia, vuoi che tutti conoscano la verità.” Se si delegittimano le persone e le istituzioni la cui grandezza è figura di quella verità, allora restano solo opinioni, solo partiti. E chi abbia ragione e chi torto è soggettivo e imperscrutabile. È abolita la differenza fra il vero e il falso. Prendere posizione è schierarsi, e basta. E questo è tragedia. Ci sguazzano i sofisti e i retori. Socrate morì perché non morisse la figura ideale della verità: la sua grandezza, che dà respiro e salvezza a chi non ha potere.
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